Pure i gay vogliono il Superbowl, ma vengono respinti

Il caso dello spot anti-aborto al Superbowl sta creando fortissime polemiche non solo nello sport ma anche in campo politico. Il prossimo 7 febbraio a Miami si giocherà il Superbowl, l’attesissima finale del campionato di football americano tra i Colts di Indianapolis e i Saints di New Orleans. Come ogni anno, sarà il programma televisivo più visto d’America. Così «Focus on the family», un gruppo cristiano tradizionalista in prima linea nella battaglia contro l’aborto, ha deciso di comprare uno spot per rilanciare al livello nazionale la propria crociata pro-life. Si tratta di un investimento notevole, visto che, secondo la Cbs, una pubblicità di 30 secondi da mandare in onda durante la partita costa tra i 2,5 e i 2,8 milioni di dollari, cioè tra 1,8 e i due milioni di euro. Testimonial di questa iniziativa è Tim Tebow, il leader della squadra di football dei Florida Gators. Una scelta non casuale, tenuto conto della sua storia familiare: nel 1987 la madre Pam, figlia di un pastore evangelico, incinta del quinto figlio, durante un viaggio nelle Filippine si ammalò e i medici le consigliarono di abortire. Lei non li ascoltò e dopo qualche tempo mise al mondo quella che oggi è una delle stelle più acclamate dello sport americano. «C’era il rischio che mio figlio nascesse handicappato - racconta Pam nello spot - ma ho rispettato il suo diritto a vivere ed eccolo qui, è il più promettente quarterback della National Football League. Avevo chiesto al Signore di darmi come figlio un predicatore, invece mi ritrovo in casa un campione di football». Tebow, che tra tre mesi dovrebbe fare il salto tra i professionisti della Nfl difende da parte sua lo spot che lo vede protagonista insieme alla madre: «So che qualcuno non sarà d’accordo ma io credo che queste persone debbano almeno rispettare il fatto che io difenda le mie convinzioni», ha spiegato il giocatore, che si è detto «convinto da sempre» delle sue ragioni anti-abortiste. «È per queste ragioni che io sono qui, perché mia madre è stata una donna molto coraggiosa» ha detto il giocatore.
La notizia dello spot ha quindi riacceso lo scontro tra i pro-life e i cosiddetti pro-choice. Jemhu Greene, presidente del Woman’s media center di New York, ha chiesto alla Cbs di rifiutarsi di trasmetterlo: «Una pubblicità che usa lo sport per dividere, piuttosto che unire - osserva Greene - non dovrebbe trovare spazio all’interno dell’evento sportivo più importante dell’anno». Il gruppo femminista è sostenuto da gruppi quali l’Organizzazione Nazionale delle Donne e la Feminist Majority. Perplesso anche Gregg Dovel, giornalista della Cbs, il network che trasmetterà la partita: «Per 30 secondi milioni di americani saranno infelici. Non protesto perché lo spot è antiabortista, ma perché mescola la politica al nostro amato sport». Netta la replica del portavoce di «Focus on the family»: «Tra sport e famiglia c’è un alleanza naturale, non vedo alcun problema nel raccontare la storia di un nostro amico che testimonia la sua fede in Dio e nei valori della famiglia».
Intanto, a peggiorare una situazione già tesa, è arrivata la notizia di un possibile spot per coppie gay: un’agenzia per cuori solitari per trovare compagni on-line, ha chiesto alla rete Cbs di mandare in onda, per loro, una pubblicità piuttosto sexy con 2 uomini.

La Cbs ha però deciso di rifiutarla: ma vista la reazione di un portavoce del sito («Il nostro spot è stato rifiutato per il contenuto omosessuale, nonostante la censura l’abbia giudicato visibile a tutti») il Superbowl è già diventato il più politicizzato e contestato della storia.

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