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Putin, da 12 anni «Zar sempre in piedi»

Putin, da 12 anni «Zar sempre in piedi»

di Livio Caputo

Il risultato sarà stato anche raggiunto grazie agli innumerevoli brogli denunciati sia dagli osservatori internazionali in dichiarazioni ufficiali, sia dai contestatori russi attraverso Internet, ma alla fine il partito «Russia unita» di Putin è riuscito ad agguantare quella maggioranza assoluta di seggi alla Duma (238 su 450), che secondo i primi risultati di domenica sera era parso sfuggirgli.
Perciò, quando nel prossimo marzo «zar Vladimir» sarà rieletto per la terza volta presidente della Federazione russa dopo la parentesi Medvedev, non avrà bisogno di stringere alleanze per governare. In altre parole, potrà riprendere ad esercitare un potere quasi assoluto, ma se le sue intenzioni sono davvero di puntare di nuovo a due mandati consecutivi, cioè di restare alla guida del Paese fino al 2024, dovrà in qualche modo tenere conto dei segnali che gli sono arrivati dall’elettorato.
Che cosa devono aspettarsi la Russia e il resto del mondo con una prospettiva del genere? La storia degli ultimi dodici anni può venirci in aiuto per capirlo. All’inizio, l’ex dirigente del Kgb, assurto al vertice dopo i caotici anni di Eltsin, è apparso un partner affidabile e cooperativo per l’Occidente. Molti ricorderanno ancora gli scambi di complimenti con George W. Bush, il flirt con la Germania di Schroeder, l’ammissione della Russia nel G8 e nel Consiglio politico della Nato, favoriti anche da Silvio Berlusconi. Durante il suo primo mandato, sembrava davvero che la Russia di Putin potesse essere integrata nel sistema politico occidentale e contribuire fattivamente alla soluzione dei grandi problemi internazionali, dall’atomica iraniana al conflitto israeliano-palestinese. L’illusione non è durata a lungo.
Una volta soffocata nel sangue la rivolta cecena e risollevate, grazie all’aumento del prezzo degli idrocarburi di cui la Russia è il maggiore produttore mondiale, le sorti dell’economia, l’atteggiamento di «zar Vladimir» è gradualmente cambiato, fino ad assumere in certe occasioni toni da vecchia guerra fredda.
Il suo obbiettivo principale è diventato il ripristino dell’egemonia russa su tutte le repubbliche dell’ex Urss e il reintegro del Paese nel ruolo di grande potenza, con voce in capitolo su tutti gli scacchieri. Di qui, la netta opposizione all’ampliamento di Nato e Ue verso Oriente, la guerra al progetto americano di uno scudo missilistico contro i Paesi canaglia, l’aggressione alla Georgia, l’ostruzionismo in Consiglio di Sicurezza alle sanzioni contro Iran e Siria, addirittura l’annuncio di un imminente rinnovo dell’arsenale nucleare. Una costante è stato l’inasprimento dei toni sciovinistici nelle vigilie elettorali, nella presunzione che il nazionalismo sia tuttora uno dei sentimenti più diffusi nella popolazione. È probabile che, se la congiuntura economica non lo costringerà a venire a più miti consigli, Putin continuerà a tirare la corda senza mai spezzarla, perché se la Ue ha bisogno della Russia per i suoi rifornimenti energetici, una Russia in totale rotta di collisione con il mondo occidentale si troverebbe a sua volta in gravi difficoltà.
Sul fronte interno, le incognite sono maggiori. Già oggi, nonostante una costituzione abbastanza liberale e il puntuale svolgimento delle elezioni, la Russia non è più né una vera democrazia, né una vera economia di mercato e tanto meno un vero Stato di diritto. Putin si è via via assicurato un quasi totale controllo dei media e dell’apparato giudiziario, ha ripristinato il potere centrale sulle province e installato uomini a lui devoti in tutte le posizioni di potere. Come abbiamo visto anche domenica, se le elezioni hanno bisogno di essere «aggiustate», non esita ad aggiustarle. Dopo avere pesantemente ridimensionato il potere degli oligarchi che cercavano di contrastarlo, ha rinazionalizzato buona parte della grande industria e si è chiuso quasi a riccio contro gli investimenti stranieri. Buona parte dell’economia è oggi sotto il controllo - diretto o indiretto - del Cremlino, con il risultato che si ricomincia a respirare l’aria di stagnazione degli anni di Brezhnev.
Quanto alla potenziale opposizione politica, zar Vladimir ha lasciato le redini molli a comunisti e nazionalisti, ma ha emarginato spietatamente i liberali superstiti dell’epoca di Eltsin, più suscettibili di dargli ombra e di opporsi alla sua politica economica. Se queste tendenze proseguiranno, nei prossimi sei (o dodici) anni, la involuzione politica potrebbe completarsi, con ulteriori ripercussioni negative anche sul rispetto dei diritti umani.

Ma, per molti osservatori che pure lo criticano, Putin ha una giustificazione: probabilmente l’autocrazia è a tutt’oggi ancora l'unico sistema per tenere insieme un Paese complesso come la Russia, che una democrazia di tipo occidentale non ha mai conosciuto.

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