Tech e social? Nulla di più politico. Garry Kasparov, accanito avversario di Vladimir Putin, in un'intervista a Repubblica ha citato Pavel Durov come un esempio perché è riuscito a sfuggire alla presa soffocante del Cremlino: il presidente e i suoi avevano fino a pochi giorni fa vietato Telegram, proprio perché crittografato e incontrollabile, ora però, «hanno dovuto togliere il blocco perché è molto usata dagli stessi membri del regime. La tecnologia in qualche modo trova sempre il modo di sfuggire alle dittature».
In un contesto del tutto diverso anche Mark Zuckerberg fondatore e proprietario di Facebook è nel pieno di una furibonda battaglia politica. Solo pochi giorni fa il New York Times ha preso di mira una sua cena riservata con Donald Trump che risale all'autunno scorso. Era il periodo in cui una candidata alle primarie democratiche, Elizabeth Warren, aveva esplicitamente chiesto lo spezzettamento del colosso dei social, accusato di pratiche monopolistiche. Per Zuckerberg un appoggio politico «stava diventando questione di vita o di morte», ha scritto il quotidiano americano che ha sottolineato il paradosso di Facebook, con nemici agguerriti sia a sinistra che a destra dello spettro politico: «I democratici lo odiano e ne diffidano perché diffonde la disinformazione di destra e ha aiutato a eleggere Trump. I repubblicani lo odiano e ne diffidano perché è gestito da un gruppo di liberal californiani e perché ogni tanto cancella dalle sue pagine un po' di tesi della destra estrema».
In questo quadro anche la politica scelta da Zuckerberg nei confronti delle sparate di Trump è diventata oggetto di polemica. «Non penso che sia giusto per una società privata censurare politici o le notizie che circolano in una democrazia», ha chiarito il fondatore di Facebook. Così la società, a differenza di Twitter, non blocca le dichiarazioni del presidente anche quando fattualmente inesatte. Solo in una circostanza Facebook si è mossa, quando un post della campagna per la rielezione dell'inquilino della Casa Bianca, ha ripreso un simbolo utilizzato anche da gruppi nazisti.
Per la destra un'apprezzabile interpretazione del proprio ruolo di «piazza virtuale», destinata a rimanere neutrale sui contenuti. Per la sinistra, invece, un'inaccettabile acquiescenza di fronte alle fake news presidenziali.
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