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Putin chiude il bazar del crimine

Il premier russo ordina lo sgombero del Cherkizovsky, uno Stato nello Stato da anni epicentro del contrabbando e dell’immigrazione illegale. Ora Mosca rischia la guerra tra razze

Putin chiude il bazar del crimine

Marta Allevato

Un buco nero dell'illegalità, il paradiso del contrabbando, uno Stato nello Stato, con la propria polizia, la propria procura, la sua dogana e perfino i suoi bordelli. È il mercato Cherkizovsky a Mosca, il più grande d'Europa, e che ora rischia di sparire per sempre lasciando dietro di sé profonde tensioni sociali. Su questa sorta di bazar mediorientale si è abbattuta di recente la scure del premier Vladimir Putin, che ne ha imposto la chiusura per violazioni delle norme sanitarie. L'iniziativa sta facendo molto discutere in Russia, dove è già scattato l'allarme rosso per il rischio di una «guerra intertnica» nella capitale, tristemente nota per l'alto livello di violenza xenofoba.

Esteso su 100 ettari sopra i tunnel sotterranei di Stalin, il Cherkizovsky (nord-est di Mosca) dà lavoro a migliaia di cinesi, vietnamiti, tagiki, uzbeki, kirghizi, tenuti in condizioni al limite della schiavitù e che qui vendono di tutto: dall'abbigliamento, ai generi alimentari. Ora, dopo l'ordine di chiusura emesso il 29 giugno, circa 100mila persone sono disoccupate. In gran parte si tratta di immigrati clandestini ridotti alla fame, come ha denunciato il presidente della Federazione degli immigrati in Russia, Majumder Mohammed Amine: «La situazione è esplosiva e rischia di alimentare la criminalità».

I negozianti rimasti senza lavoro si stanno riversando nelle piazze di altri mercati moscoviti in cerca di una piazzola in affitto dove sistemare il loro banco. Ma di posto libero non vi è neppure l'ombra e la tensione tra i migranti, gli abitanti locali e i commercianti russi è ormai alle stelle. Il quotidiano «Vremia Novostej» parla di «invasione sino-vietnamita» nella zona del famoso mercato Vernisazh di Izmajlovo, meta dei turisti italiani in cerca di artigianato. Altri mercati presi d'assalto dalla folla di disoccupati sono il Sadovod e il Ptichka.

Su internet è già esplosa quella che i media chiamano la «collera nazionale»: i piccoli commercianti russi stanno raccogliendo firme per una petizione al presidente Dmitri Medvedev a cui chiedere o la riapertura del Cherkizovsky o l'organizzazione di una nuova piazza adibita allo stesso uso. Per fronteggiare la situazione, organizzazioni a tutela dei migranti hanno messo in piedi mense a cielo aperto, dove distribuire almeno un piatto di zuppa gratis ai senza lavoro.
Le autorità hanno cominciato a rimpatriare circa 150 clandestini cinesi e a fermare quelli che nei giorni scorsi hanno tentato, invano, di protestare bloccando il traffico. Ma l'allarme sociale è concreto, se si ricorda che lo stesso mercato è stato mira, nell'agosto 2006, di uno dei più gravi attentati xenofobi nella capitale russa con 11 morti e 50 feriti.

La chiusura del mercato, nato all'inizio degli anni ’90, era stata minacciata più volte, ma era sempre stata rinviata; anche dopo il sequestro lo scorso settembre di 6mila container di merci cinesi di contrabbando per un valore di due miliardi di dollari. I battenti del Cherkizovsky rimarranno chiusi per almeno tre mesi, ma Vladimir Malcikov, direttore del dipartimento della città di Mosca preposto ai mercati, assicura che «anche se riaprirà, una volta risolti i problemi sanitari, non lavorerà più fino a dicembre». «Ci sono persone che non escono dal mercato da anni, perché li c’è tutto per vivere. È un nido di vipere che deve essere chiuso una volta per tutte», ha tuonato Aleksandr Bastrikin, capo del Comitato d'indagine presso la procura.

Da anni tutta Mosca conosce il Cherkizovsky come il regno della totale illegalità. E l’improvviso rigore del governo insospettisce e fa pensare più ad una mossa politica. I media russi hanno evocato l'ira di Putin dopo che a maggio il proprietario del mercato, l'oligarca di origine azera Telman Ismailov, aveva inaugurato ad Antalya in Turchia l'albergo più costoso d'Europa (1,4 miliardi di dollari) alla presenza di star americane come Richard Gere e Sharon Stone. Alla faccia della crisi economica. Qualche giorno più tardi il premier si è scagliato contro il contrabbando e i suoi responsabili. E a fine giugno è arrivata puntale l'ispezione che ha decretato la chiusura dello storico mercato. Agli occhi del governo Ismailov sarebbe un «ingrato» per aver iniziato a trasferire i suoi investimenti dalla Russia alla Turchia.

Ma gli analisti intravedono un altro obiettivo: il sindaco di Mosca Yuri Luzhkov, grande amico dell’oligarca azero, e di cui forse questo potrebbe essere l’inizio della fine.

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