Se gli exit poll delle elezioni legislative russe saranno confermati dai risultati ufficiali - che saranno disponibili solo questa mattina - per il partito del tandem Putin-Medvedev si sarebbe trattato della classica vittoria di Pirro. Vittoria indiscutibile, perché un partito che ottiene il 46/48 per cento dei voti è comunque trionfatore come ha rivendicato il presidente Medvedev; ma certamente di Pirro, sia per il tracollo che si registra dal 64,3 per cento ottenuto nel 2007, sia perché con questi dati «Russia Unita» perde la maggioranza assoluta alla Duma: si aprirebbe così una stagione nuova e assai più incerta nella politica moscovita, in attesa delle presidenziali del prossimo marzo.
Se Putin e Medvedev sono i (relativi) perdenti di queste elezioni, chi sono i (relativi) vincitori? Cadono francamente le braccia nel riferirlo: sono i comunisti dellirriducibile nostalgico dellUnione Sovietica Ghennadij Zjuganov, che sinvolano dall11,6 a un 20 per cento che ne fa una forza non più «di bandiera», ma di forte opposizione. E non solo loro: cantano vittoria anche i socialdemocratici di «Russia Giusta», il cui leader Serghej Mironov ha trasformato il suo partito - nato a tavolino per toglier voti allestrema sinistra a vantaggio del governo - in una forza di opposizione di sinistra moderata che ieri avrebbe raggiunto il 13 per cento dei consensi, e gli ultranazionalisti populisti dellaltro vecchio arnese della politica postsovietica Vladimir Zhirinovsky, approdati a un solido (e sconsolante) 11 per cento. Niente da fare - sempre secondo i sondaggi diffusi dalla televisione di Stato russa - per i liberali di «Yabloko», fermi al 4,2 per cento e quindi ben al di sotto della soglia di sbarramento allingresso in Parlamento fissata al 7 per cento. Insomma, si conferma che in Russia manca al momento unalternativa praticabile al sistema di potere putiniano, non si vede allorizzonte un leader democratico in grado di coagulare i consensi di quella Russia, forse ancora minoritaria ma certamente in rapida crescita, che è stanca di vedersi dominare da una elite che è democratica a parole ma autocratica nei fatti.
Come già nei giorni della vigilia, la domenica elettorale in Russia è stata turbata da denunce di brogli e vessazioni poliziesche ai danni delle opposizioni. A gridare di più sono i comunisti, già pronti a chiamare i loro simpatizzanti in piazza per fomentare la protesta contro il governo, ma il fatto che la loro credibilità sia notoriamente infima nulla toglie al fatto che ieri si sono effettivamente verificati troppi episodi che in una democrazia occidentale non potrebbero accadere. Quello più grave è certamente larresto di almeno 170 persone nel corso di «manifestazioni non autorizzate» a Mosca e a San Pietroburgo: queste persone, a nome di partiti e movimenti di diverso colore politico, si erano limitate a contestare la legittimità delle elezioni, denunciando brogli e pressioni illegali.
La lista delle lamentele è però lunga. Lelenco di siti web, di associazioni e giornali impegnati a denunciare irregolarità nella consultazione e finiti nel mirino di attacchi hacker sembra un bollettino di guerra: quello del quotidiano Kommersant, della radio Eco di Mosca, delle riviste Forbes Russia, Bolshoi Gorod e New Times e i siti dinformazione Slon.ru e Gazeta.ru. Tutti hanno avuto problemi daccesso al sito durante la giornata elettorale. Difficile che questi attacchi non siano stati coordinati, e non è neanche difficile immaginare da chi e perché. Per non dire degli attacchi alla popolare piattaforma di blogging LiveJournal e allorganizzazione Golos, oggetto negli ultimi giorni di una vera e propria persecuzione mediatica e giudiziaria. Il sito internet dellorganizzazione e quello del suo progetto «Mappa delle violazioni» sono stati vittime di attacchi Dos (Denial of Service).
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