da Milano
Estate difficile per i negozianti. Mancano all'appello 5 milioni di visitatori. Carlo Sangalli, presidente di Confcommercio: come la stanno vivendo i «suoi» commercianti?
«Da molti anni ormai i commercianti hanno imparato a convivere con una crisi strutturale e profonda dei consumi e forse hanno anche sviluppato gli anticorpi per resistere. Ma ho la sensazione che non sia un problema di stagioni, quanto di bassa crescita e della competitività difficile di cui il nostro Paese è malato».
Molti lamentano prezzi troppo alti. Negli stabilimenti, nei ristoranti, nei negozi. Non è un autogol anche per voi?
«I costi di gestione delle imprese sono stritolati da una parte dall'aumento delle materie prime e dei costi per la gestione, dall'altra da una pressione fiscale che non tende a scendere e da una crisi dei consumi che diminuisce trasversalmente i fatturati di tutte le imprese. Detto questo, molte imprese hanno già attuato politiche di prezzo in favore dei consumatori, basti pensare all'intensità del ricorso alle vendite promozionali».
Ma esiste o no chi in questa crisi «ci marcia»?
«Guardi, le liste nere non mi sono mai piaciute ma è evidente che non posso escludere che vi siano comportamenti di taluni poco corretti. In ogni caso gli imprenditori che non guardano al mercato dopo un po' di tempo sono messi fuori dal mercato. Perché ormai il settore della distribuzione è completamente liberalizzato già dal 1998».
È possibile che alcuni negozi puntino a fare in un mese i ricavi di un anno?
«Guardi, negli ultimi sei mesi hanno chiuso 15mila negozi in più rispetto all'anno scorso, il che vuol dire che non c'è spazio né per commercianti improvvisati, né per quelli speculatori».
Non se la prenda, Sangalli, ma l'impressione è che i commercianti italiani scelgano sempre l'uovo oggi e mai la gallina domani. Tra le idee buone per affrontare la crisi, il Giornale ha lanciato quella, peraltro elementare, di abbassare i prezzi. Bernabò Bocca, capo di Federalberghi e suo vicepresidente, si è detto d'accordo, benché entro certi limiti. Non crede che i commercianti potrebbero prenderla sul serio e diventare più «lungimiranti»?
«Credo che complessivamente la distribuzione commerciale abbia fatto e stia facendo la propria parte, del resto il suo vero patrimonio è proprio il consumatore. Ma per fare di più e di meglio occorre che l'impegno per il miglior prezzo praticato al consumatore finale diventi permanente e condiviso lungo tutta la filiera. È in questo modo, infatti, che eventuali riduzioni dei costi delle materie prime potrebbero riflettersi sui listini industriali praticati al commercio e potrebbero quindi attuarsi riduzioni di prezzo ai consumatori. Quindi, la risposta non può essere una risposta astratta e di riduzione, quello che serve è un patto per una maggiore produttività da parte di tutti gli attori della filiera».
Ma abbassare i prezzi potrebbe avere un effetto positivo sulla ripresa dei consumi, o no?
«Per far ripartire i consumi dobbiamo rispolverare la vecchia ricetta che è quella di abbassare la pressione fiscale su imprese e famiglie, portare a termine il processo di liberalizzazione di settori non ancora aperti alla concorrenza, e attuare politiche del lavoro per incrementi di produttività. E tutto questo può avvenire anche tenendo ferma la barra del rigore indicata da Tremonti e contestualmente usare l'opportunità offerta dal federalismo fiscale».
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