Qualcuno prova a «impiccare» il Parlamento

Caro Granzotto, attraverso la televisione e la radio ha fatto irruzione un nuovo termine politichese, una cosa come eanpalment, se ho capito bene e che è tradotto qualche volta «parlamento impiccato» qualche altra «parlamento appeso». Scusi l’ignoranza, ma saprebbe dirmi impiccato o appeso a che cosa?
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Chissà, forse impiccato alla corda della stupidità di un giornalismo autoreferenziale che dimentica il primo dei doveri: farsi capire da chi legge (o ascolta). Lo stesso giornalismo che ogni giorno fa i gargarismi col Tantum Verde de: «il lettore è il mio unico padrone». Quello che lei ha udito biascicare, caro De Santis, è «hung parliament», espressione idiomatica inglese che sta per Parlamento bloccato o in bilico o paralizzato in quanto privo di maggioranza. L’impiccagione, che non c’entra niente, dev’essere saltata fuori perché to hang significa anche impiccare. Ma come sanno anche i nativi della Beozia una espressione idiomatica non può essere tradotta letteralmente. Se no va a finire come quel mio (illustre) collega che ironizzando sugli agi campestri del redattore de Le Figaro che ci ospitava nel fine settimana, se ne uscì con uno scombiccherato: «Gateau la vie, eh?», intendendo ovviamente dirgli: «Dolce la vita eh?». Quella roba lì, caro De Santis, quell’«hung parliament», era faccenda ignota e dunque assente dal nostro lessico politichese fino alla primavera scorsa. Fino a quando, cioè, i conservatori di David Cameron non vinsero le elezioni, conquistando però un numero di seggi non sufficienti per detenere la maggioranza in Parlamento. Nel linguaggio politico d’Oltremanica quello eletto risultava dunque essere uno «hung parliament» e all’«hung parliament» ovviamente si riferirono tutti i quotidiani e le televisioni inglesi. Bene, ghiotti come siamo di forestierismi, specie se di impronta anglosassone, ce ne siamo impossessati, squadernandolo per la situazione che si sta venendo a creare in casa nostra con i movimenti delle truppe cammellate e rinnegate del compagno Gianfranco Fini. Ma a sproposito, tanto per cambiare.
L’«hung parliament» non può infatti risultare tale nel bel mezzo di una legislatura, ma solo, ma esclusivamente a seguito di una tornata elettorale dalla quale non sia emersa una maggioranza. In tal caso, il premier uscente conserva l’incarico fino a quando il Parlamento non esprime una coalizione in grado di sostenere un nuovo esecutivo. Per una questione di britannico fair play, il primo tentativo spetta al partito di governo: se ritiene di aver raggiunto l’obiettivo, si passa al voto di fiducia. Se invece dovesse gettare la spugna, tocca all’opposizione. Questo avviene perché in Inghilterra così come in tutti i Paesi a democrazia compiuta si ignora la pratica a noi tanto cara del ribaltone. Magari non c’è scritto nero su bianco nelle rispettive Costituzioni (che per altro l’Inghilterra non ha), ma in quei Paesi, quelli appunto a democrazia compiuta, il mandato ricevuto dall’elettore è, per l’eletto, vincolante. E se proprio a qualcuno prude la gabbana e se la vuole rivoltare, per una questione di correttezza prima che di dottrina si premura di rimettere agli elettori il mandato ricevuto. Un comportamento che noi, soggetti alla Costituzione «più bella del mondo», giudichiamo da fessi.

E così, da furbi che se ne fregano della delega ricevuta, carta straccia, a cuor e coscienza leggera ci sentiamo autorizzati a dar vita a tutta una serie di canagliate (nei confronti dell’elettore, del popolo sovrano). Quella consumata da Gianfranco Fini ne è uno dei tanti, anche se fra i più meschini, esempi.
Paolo Granzotto

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