Quale bellezza Il «colore» interiore della coerenza

La bellezza e la moda hanno loro protocolli che, rispettati, danno quel senso di sicurezza sociale necessario per non sentirsi fuori luogo. Dunque, l’abbronzatura è uno dei tanti espedienti, oggi richiesti da bellezza e moda, per una rappresentazione del proprio io che possa ricevere la desiderata considerazione da parte del gruppo, degli amici, della gente. Una considerazione di sé molto convenzionale, mi sembra necessario sottolineare. Cosa comunica l’abbronzatura? Una condizione di benessere, una certa spensieratezza e libertà che consentono di distendersi al sole evidentemente lontani dal lavoro.
Essa è un simbolo tra i più frequenti, che suggerisce agli altri il nostro rapporto positivo con la vita. Difficile immaginare una persona ammalata che sia abbronzata, impensabile supporre che si abbronzi chi deve spezzarsi la schiena per lavorare. Uno studente che in questo periodo di esami si presenti alla commissione bello abbronzato, dà subito l’idea di aver preferito qualche bagno in mare o qualche gita in barca piuttosto che studiare. Conviene a quello studente mostrarsi bianco ed emaciato: riceverà dai suoi esaminatori più attenzione e riguardo. Prendo un altro esempio: il giovane rampante che vuole marciare a tappe forzate verso la «carriera». Gli conviene mostrarsi ai suoi interlocutori con la pelle bianca cadaverica?
E se non c’è il sole, c’è la lampada. L’abbronzatura artificiale, rispetto a quella naturale, ha tuttavia ancora un altro significato. Se quest’ultima è la libertà di riposarsi al sole, l’altra è la costrizione, è un pegno che viene pagato per presentarsi vincenti, decisi, sempre in forma, nonostante il sole sia nascosto dalle nuvole.
Comunque sia, l’abbronzatura per essere un segno positivo e di qualità deve accompagnarsi non solo a un modo di vestire, ma anche di atteggiamento. Provo a spiegare quest’affermazione con un esempio che rovescia le situazioni fin qui esposte: un muratore, un contadino, che lavorano all’aperto, finiscono per essere abbronzati. Se i loro abiti da lavoro ci fanno subito capire l’origine del colore della loro pelle, anche l’abito da festa che indosseranno alla domenica non sarà certamente in funzione di quell’abbronzatura. Ciò significa che se potessero lavorare senza arrostirsi la pelle, sarebbero molto più contenti.
Abbronzarsi, dicono moda e bellezza, conservando però la pelle liscia, vestendo però in modo adeguato a quell’immagine di benessere, evitando ogni possibile contraddizione tra ciò che esprime la bellezza dell’abbronzatura e il proprio modo d’essere. D’altra parte, sappiamo che crogiolarsi al sole o lampadarsi sono entrambi una moda recentissima, figlia del turismo di massa, della libertà di spogliarsi davanti a tutti, di un’idea di salute che considera nemica la città e il suo inquinamento, l’ufficio e il lavoro alla scrivania.
Mai nessuno avrebbe tuttavia pensato di rappresentare una divinità o un eroe greco con il volto abbronzato, anche se in quella parte del mondo il sole e il mare non mancano. La pelle scura appartiene alle divinità dei barbari, il corpo degli schiavi è scuro, non quello degli eroi: la divinità e l’aristocrazia sono bianche. I bianchi sono il popolo dell’Occidente, quello, tuttora, padrone del mondo, e chi ha la pelle scura appartiene a un altro mondo, ovviamente altrettanto civile e rispettabile di quello dei bianchi, comunque un altro mondo. E certo la ragazza che prende il sole sulla spiaggia, così come il giovanotto rampante che si fa la lampada per essere abbronzato anche d’inverno, non hanno nei loro obiettivi quello di assomigliare a un marocchino.


Si comprende allora perché l’abbronzatura è una moda molto borghese, e che coloro che sono vere persone di mondo, un po’ aristocratiche e un po’ snob, disdegnino di prendere il sole a pancia all’aria e preferiscano proteggersi il volto perché rimanga bianco.

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