Ma quale scandalo! Il Bunga bunga è satira

Il "Forte dei Marmi" assegnato anche ai cronisti giudiziari: "Le loro inchieste sono una parodia". Premi a Repubblica, Stampa e Fatto

Ma quale scandalo!  
Il Bunga bunga è satira

Ci sono Antonio Albanese, il geniale inventore di Cetto La Qualunque, la cabarettista Geppi Cucciari, il vignettista di Annozero Vauro e quello di Libero Benny, incriminato per una vignetta su Napolitano. È un campionario eterogeneo e bipartisan di specialisti dello sberleffo l’elenco degli insigniti, nello scorso weekend, con il Premio di Satira politica Forte dei Marmi, il più prestigioso tra i certamen italiani dedicati al sarcasmo a spese della Casta. Poi, a metà dell’elenco, compaiono quattro nomi che apparentemente non hanno nulla a che fare con il resto del gruppo: Gianni Barbacetto, Paolo Colonnello, Paolo Biondani, Fiorenza Sarzanini. Che non sono degli autori di satira ma serissimi cronisti di cronaca giudiziaria, segugi delle inchieste più delicate, abituati a scavare nei misteri più cupi del paese. Scrivendo - rispettivamente - per Il Fatto Quotidiano, La Stampa, L’Espresso e il Corriere della Sera.
La giuria del Premio ha ritenuto di arruolare i quattro «pistaroli» tra gli autori di satira per gli articoli su una sola inchiesta: quella sul «bunga bunga», ovvero sui rapporti tra Silvio Berlusconi, «Ruby Rubacuori» e le altre ragazze abituate a frequentare la residenza del premier ad Arcore. Una indagine penale con al centro - nella ricostruzione della Procura milanese - reati gravi e odiosi come la concussione e l’induzione alla prostituzione. E che la giura di Forte dei Marmi invece nobilita o retrocede (a seconda dei punti di vista), a caso di satira, cioè all’esatto contrario del giornalismo di inchiesta: perché nella satira, come ognuno sa, è lecito e anche doveroso, inventare, esagerare, infierire. Tutto il contrario, insomma, del giornalismo che si nutre del rigore e dei fatti accertati. All’autore di satira, come peraltro riconosciuto da numerose sentenze, è lecito quasi tutto. Al giornalista, fortunatamente, no.
La motivazione della giuria (in cui siedono a loro volta altri mostri sacri del giornalismo nazionale) cerca di dare in qualche modo spiegazione e dignità alla contaminazione tra i due generi reciprocamente incompatibili: «Come è potuto succedere che un gruppo di eccellenti cronisti giudiziari sia stato mutato in uno straordinario autore collettivo di satira politica? Il Bunga Bunga, in quanto categoria giornalistica della commedia umana all’italiana, giorno dopo giorno ha finito per impossessarsi delle parole della cronaca e dei cronisti che l’hanno raccontata e ancora la devono raccontare. Un esproprio! Riverbero immediato di un paese confuso in cui la politica è la continuazione della satira con altri mezzi. E viceversa. Esposti a gravi rischi di contaminazione etica, i cronisti del Bunga hanno saputo raccontare e ci racconteranno ancora che c’è poco da ridere. E perciò vengono premiati loro, con la triste consapevolezza che la risata è l’ultima risorsa della democrazia».
Ma la spiegazione pare che non sia risultata del tutto convincente. Tanto che altri giornalisti del Corriere della Sera specializzati in cronaca giudiziaria, cui pure il premio versiliano era stato offerto, hanno declinato cortesemente ma fermamente: «Grazie mille ma noi facciamo informazione e non satira».

Ma uno di quelli che hanno accettato, Paolo Colonnello, spiega: «I giornalisti raccontano la realtà in tutti i suoi aspetti, e alzi la mano chi non ha sghignazzato leggendo queste storie di Arcore. Io ho lavorato seriamente, ma il premio riconosce che anche raccontando storie gravi si può avere un tocco di leggerezza».

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