Liberateci dalle partite-spettacolo. Ogni volta sono una delusione, ogni volta sono un supplizio. Cerchi gol, trovi sbadigli. Titic-titoc, come se fosse un’amichevole, anzi un allenamento. Brasile-Portogallo era il massimo, il punto più alto dei gironi di qualificazione del Mondiale sudafricano. Luogo comune per luogo comune: di fronte le due squadre ipoteticamente più divertenti e giocherellone del torneo. Ecco, nel rapporto tra aspettative e realtà è stata la più brutta partita di un mondiale finora mediocre.
Zero a zero, col nulla mescolato al niente, un pareggio che non valeva neanche la pena essere giocato. Con quel risultato passavano tutte e due, quindi ecco. Le azioni? Il divertimento? Le giocate? Ciao a tutto, in nome del risultato che ovviamente è la cosa più importante. Basta non millantare, perché le partite-spettacolo sono una fregatura: nessuno vuole perdere e quindi nessuno vince, nessuno vuol dimostrare di essere più scarso dell’altro e quindi nessuno è migliore. Brasile-Portogallo è stata un supplizio combinato, una partita che riabilita le virtù adrenaliniche del curling. Lì almeno si spazzola il ghiaccio per arrivare a un risultato, qui il risultato c’era già, bastava far niente perché cambiasse. Andava bene a tutte e due: qualificate e contente, un modo per raggiungere il risultato minimo che serviva a non farsi sputare in faccia dai propri tifosi. Se nessuno attacca, non c’è bisogno che gli altri difendano. Si evitano errori e figuracce. Allora zero a zero. Fossimo in campionato sarebbe già partita l’indagine dell’ufficio inchieste. Brasile e Portogallo, cioè teoricamente i Paesi meno abituati a giocare con la calcolatrice, mettono insieme il manuale Cencelli del pallone: un po’ a te, un po’ a me, cioè un punto per ciascuno. Fregata la Costa d’Avorio e via, in modo da dire al mondo che non sono più i Paesi pronti a farne a ripetizione, quanto quelli che adesso preferiscono non prenderne. Perché col pareggio di ieri Portogallo è arrivato alla diciottesima partita senza sconfitte. Dodici vittorie, sei pareggi: l’ultima volta che ha perso è stato proprio contro il Brasile, il 19 novembre del 2008: la Seleçao vinse 6-2. La Seleçao, già: sette vittorie e due pareggi, cioè nove partite senza perdere. Gli ultimi a mettere sotto i brasiliani sono stati i boliviani, a La Paz nelle qualificazioni mondiali.
I conti, appunto. Come noi in tempi migliori, come la Germania, come l’Inghilterra. Il problema è che neanche questo dovrebbe giustificare la noia di ieri. Perché è stata al di là del bene e del male: il Brasile è stato persino fischiato dai suoi tifosi. Quante volte è successo? Nella memoria degli ultimi quarant’anni nessuna Nazionale brasileira è stata contestata come questa, neanche quelle che hanno perso malamente, come a Italia 90.
Passa il Brasile, passa Dunga, passano i giocatori, però non piacciono. Così come non piace Cristiano Ronaldo, non questo almeno. Ieri ha girovagato per il campo senza concretizzare. Gli hanno dato il premio come uomo partita e nessuno sa il perché, neanche lui che tra i suoi difetti ha quello della presunzione a ogni costo. Man of the match, comunque: potenza del nome e della popolarità acquisita, unico motivo per cui questa elezione abbia un senso. Non ha fatto nulla Ronaldo e comunque ha fatto più di Felipe Melo, nervoso e poi uscito per una distorsione alla caviglia che potrebbe fargli finire oggi il suo Mondiale.
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