E dunque rieccoci qui: ogni anno si ripete quer pasticciaccio brutto der Premio Strega, rispetto al quale le cronache parlamentari sembrano Alice nel Paese delle Meraviglie. Essendo sostanzialmente un fatto editorial-mafioso dove non contano i libri ma le manovre, la notizia è che la Newton Compton è lunica grande casa editrice indipendente fatta fuori dai dodici candidati alla vittoria. La «vittima» è The Father, Il padrino dei padrini di Vito Bruschini. Il direttore editorale della Newton, Raffaello Avanzini, mi dice «Vorrei solo capire il criterio di esclusione, perché non entriamo noi con un romanzo tradotto e apprezzato in sei Paesi e entrano altri che non arriveranno mai neppure in cinquina? Ma quale trasparenza, sono tutti collusi con i grossi gruppi». Tullio De Mauro è famoso per aver portato il numero chiuso, come se fossimo in ununiversità di élite, ma al contrario, trattandosi del Premio Strega devi essere scarso, vendibile e ben puntellato a destra e sinistra. Non pensate a critici che leggono e sudano sulle carte, immaginate piuttosto un immane gorgo di telefonate e magna-magna in alberghi di lusso e leccate di culo tra letterati o derivati che culminano in Campidoglio, nella serata pre-Ninfeo.
Siccome oggi mi annoiavo, non essendo ancora la mia Nina Senicar tornata dallIsola dei Famosi, chiamo Stefano Petrocchi, coordinatore delle attività della fondazione Bellonci cui spetta lorganizzazione del premio. Al «Pronto?» di Petrocchi, chiedo a bruciapelo: «Senta Petrocchi, mi spiega comè che i concorrenti questanno sono stati ridotti da 19 a 12, e secondo quale criterio?». Rumore di posate, chiacchiericcio di commensali, sono le 15 e 45 e Petrocchi mangia, ma la prima risposta è chiara: «Per non affaticare troppo i giurati, gli amici della domenica, sa, i libri da leggere sono tanti». Ha ragione Petrocchi, daltra parte sono amici della domenica, mica dei giorni lavorativi. Dopodiché, sui criteri di esclusione, non ci si capisce un cazzo: Petrocchi si dilunga in meandri di giudizi del comitato direttivo, pareri di organi direttivi con membri a rotazione triennale, sedute plenarie sempre più ristrette tra membri e rimembranze, si finisce insomma nel porno spinto burocratico, sembra un congresso del Pd, io fingo di ascoltarlo ma faccio zapping tra Pornohub e le foto del mio amore Nina Senicar su Google Images. Comunque, se la Newton è fuori, la Fandango è dentro, Procacci è un procacciatore di voti irresistibile, amico della domenica e proprietario della casa editrice e cinematografica. E in ogni caso pure io, cosa vado a chiedere criteri a Petrocchi? Più ci si addentra nello Strega più si scoprono aggrovigliamenti incestuosi che non trovi neppure sui siti più spinti, dove Flaminia Petrucci, la moglie di Siciliano, ha ereditato il posto di Siciliano, Walter Pedullà ci ha infilato anche il figlio Gabriele, Alberto Ronchey è morto ma ci sono Silvia Ronchey e Vittoria Ronchey, e anche tutta la dinastia dei DAmico, Suso Cecchi DAmico, Margherita DAmico, Masolino DAmico ex marito, fra laltro, di Benedetta Craveri, e lo stesso Tullio De Mauro ci ha zuppato il suo uomo ombra storico Francesco De Renzo, insomma oltre al Premio Inciucio lo Strega è il Premio Incesto.
Senza considerare i gruppi editoriali che, zitti zitti, si sdoppiano, e fra i dodici selezionati concorrenti Rizzoli è presente sia con il marchio Rizzoli che Bompiani, Mondadori sia con il marchio Mondadori che Frassinelli, come se alle elezioni Forza Italia fosse presente sia come Forza Italia che come Pd. Quindi compatiamo questi poveracci giunti a concorrere: Silvia Avvalone (Acciaio, Rizzoli), Angela Bubba (La casa, Elliot), Barbara Garlaschelli (Non ti voglio vicino, Frassinelli), Beatrice Masini (Bambini nel bosco, Fanucci), Rosa Matteucci (Tutta mio padre, Bompiani), Sebastiano Mondadori (Un anno fa domani, Instar libri), Raul Montanari (Strane cose, domani, Baldini&Calstoldi), Matteo Nucci (Sono comuni le cose degli amici, Ponte alle Grazie), Lorenzo Pavolini (Accanto alla tigre, Fandango), Antonio Pennacchi (Canale Mussolini, Mondadori), Francesco Recami (Prenditi cura di me, Sellerio) e infine il favorito Paolo Sorrentino (Hanno tutti ragione, Feltrinelli). Alla fine mi rincuora la voce rasserenante di Vittorio Avanzini, il mitico fondatore della Newton Compton, con il quale riesco a parlare tra un Petrocchi e un porno, uno che ci tiene alla sua indipendenza, che in quarantanni di editoria ne ha viste tante e ormai ne sorride sornione.
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