Quando a Bisceglie si sospese l'eucarestia per troppe botte

Non fa «precedente» la rivolta delle clarisse di Gubbio. Dalle segrete stanze di clausura del monastero eugubino c’è infatti chi rimanda ai «fattacci di Bisceglie», località normanna della Puglia, i cui siti di interesse citati dalla biblioteca on line Wikipedia non consigliano certamente il convento di clausura di Santa Chiara che nel 2007 è stato chiuso per rissa. Quando tre anziane suore di Bisceglie iniziarono a darsele di santa ragione costringendo il vescovo a mettere i sigilli alla comunità, si provò a tamponare la portata dello scandalo buttandola sulla crisi delle vocazioni. Ma la balla durò poco poiché a forza di spifferi e pettegolezzi, la vergogna privata diventò presto pubblica. Così Giovan Battista Pichierri, vescovo competente su Bisceglie, diede l’annuncio urbi et orbi e lo affisse pure sul portone del monastero: «Niente più celebrazione della santa messa e ritiro immediato dell’Eucarestia dalla cappella del monastero».
L’ufficialità ai rumors venne data da monsignor Giuseppe Asciano, cancelliere arcivescovile, il 28 settembre 2007: «La vita comunitaria negli ultimi tempi si è fatta difficile, vi è stata una non facile convivenza fra le monache presenti in monastero» specie dopo i decessi dei due punti di riferimento del convento, come madre Candida e suor Agnese, passate a miglior vita. Per questo motivo la diocesi, in un carteggio riservato, «dopo attenta e ponderata riflessione» annunciò che si era «pervenuti alla decisione di chiedere alla Santa sede, tramite la congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le società di vita apostolica, chiarimenti in merito al governo del monastero, non essendo possibile garantire un sereno prosieguo della vita monastica». E ancora: «La sofferta e difficile soluzione alla quale l’Ordinario è pervenuto, si deve anche alla rottura della comunione ecclesiale venutasi a creare dopo ripetuti atti di insubordinazione da parte della badessa nei confronti dell'arcivescovo». A fare le spese del repulisti interno, due monache in là con gli anni rispedite alle famiglie d’origine per decisione del vescovo. A margine delle liti, anche una insubordinazione della madre superiora suor Liliana, rimasta sola nel convento, che in quei giorni si disse decisa a tutto pur di non lasciare la struttura da lei fondata nel 1963. «Andrò via di qui solo se lo vorrà il Signore. E presto scriverò al Santo padre». Non sappiamo se poi lo ha fatto oppure no. Non è dato nemmeno sapere se i fedeli, che la sostenevano, l’abbiamo seguita nel minaccioso proposito.
L’origine dei bisticci interni al monastero di Bisceglie sarebbe da far risalire a un acceso botta e risposta fra sorelle, poi degenerato in schiaffi e spintoni tanto che una suora sarebbe stata costretta a ricorrere alle cure del medico del pronto soccorso. Non sono mai trapelate le ragioni di cotanto attrito fra le tre anziane monache che non ne hanno voluto sapere di andare d’accordo nemmeno dopo le reiterate preghiere del vescovo a una cristiana riconciliazione, sfociate invece in ulteriori dispetti velenosi. Sul «fattaccio» è stato detto di tutto, esagerando pure con i dettagli assolutamente privi di riscontri.

La versione più accreditata parla di attriti e gelosie ricollegabili alla lotta intestina per la guida del convento. In risposta al vescovo che le fece temporalmente divieto di dare l’eucarestia, la sopravvissuta allo scontro avrà pensato che una poltrona val bene una messa (non celebrata).GMC

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