Cronache

Quando il calcio merita due giornate di silenzio

Giovanni Del Bianco

La notizia del giorno è la squalifica del campo dell'Ascoli: la società marchigiana dovrà giocare le sue prossime due gare a porte chiuse e dovrà pagare un'ammenda di diecimila euro. Posso capire la rabbia del presidente dei marchigiani Benigni, ma personalmente ritengo giusta questa sanzione e con questo, e ci tengo a specificarlo, non voglio attaccare né la dirigenza, né i tifosi bianconeri, che si sono comportati in maniera splendida, aiutando la polizia ad identificare i due colpevoli del terribile incidente capitato a mia madre.
Mi viene in mente quando l'anno scorso squalificarono il campo di San Siro dopo che un razzo colpì Dida: anche in quell'occasione i delinquenti furono quattro o cinque, se non ricordo male, e non una curva intera. Desidero spendere un po' del mio tempo anche per le dichiarazioni dei genitori del ragazzo di sedici anni che mi hanno lasciato perplesso e basito («una ragazzata», «in fondo non è successo niente»...).
Non riesco proprio a capire come si possa definire ragazzata un gesto così diabolico e criminale e soprattutto come si possa dire che non sia accaduto nulla. Qualcosa è invece accaduto e questo qualcosa avrebbe potuto trasformarsi in una tragedia gravissima, che ha affidato solo alla fatalità il suo epilogo. Il ragazzo ha dichiarato invece: «non so perché l'ho fatto». Beh, io dico che se una persona non sa ciò che fa e non è responsabile delle proprie azioni non può permettersi di avere un razzo di segnalazione per le navi, tra le mani.
C'è qualcosa che non va, se un ragazzo di sedici anni ha bisogno di un razzo da sparare sulla folla per divertirsi e festeggiare una vittoria, alla quale lui non ha assistito, essendo entrato solo negli ultimi minuti al Del Duca. Non sono un intenditore ma so perfettamente che tra fumogeni e razzi c'è una gran bella differenza. I fumogeni si possono tenere nelle mani, mentre per usare i razzi ci vuole il porto d'armi; credo che poi non ci sia bisogno di un tubo per usare un fumogeno e nel dubbio, non lo punterei sulla folla. E poi, avendo preso quell'oggetto maledetto nella barca del padre, appassionato di pesca, non c'è giustificazione che regge: si trattava di un razzo di segnalazione per le navi. All'interno delle barche non c'è motivo di trovare dei fumogeni. E se non erro aveva già puntato ad un giornalaio un razzo in precedenza, ergo...
Subito dopo la gara ho detto che non sarei mai più entrato in uno stadio. Ho deciso invece di raccogliere l'invito del presidente blucerchiato Garrone che mi ha invitato a Genova ad assistere ad un'altra gara. In effetti, sarebbe una sconfitta per il sistema-calcio e per tutta la società non rientrare più in un impianto sportivo: firmerei sulla vittoria di questi teppisti della domenica. Sono loro che non devono assistere alle gare dal vico, non la gente per bene, innamorata dello sport. La mia famiglia non porta rancore verso questi due ragazzi, ma pretende che venga fatta giustizia. Non è possibile che fatti del genere avvengano negli stadi, teorici luoghi di divertimento e di festa.
Si parla spesso di riavvicinare le famiglie negli spalti, ma non è questo l'andazzo giusto: i controlli devono essere più seri ed efficienti. È inutile ricorrere ai biglietti nominali se poi chiunque può entrare negli ultimi minuti con qualunque oggetto. È grottesco che nessuno abbia visto due tipi con degli oggetti così sospetti come un razzo e un tubo con cui spararlo, quando a me hanno tolto i tappi delle bottiglie dell'acqua. Non credo che il decreto anti-violenza si sia trasformato in legge per valere solo per una parte dell'incontro, ma per tutta la durata della partita e per tutto il prima e il dopo.
Il messaggio che la mia famiglia sta cercando di dare a più gente possibile è quello di remare dall'altra parte, e di smettere di alimentare un mondo già violento di suo con altra violenza. Vediamo di trarre tutti qualcosa di positivo da questa drammatica vicenda e cerchiamo di bloccare questo movimento di terrore che aleggia negli stadi in tutta la Penisola.
Approfitto dello spazio concessomi per ringraziare chi ci è stato vicino in questi giorni, e per fortuna, non sono affatto poche: ho avuto modo di conoscere delle persone veramente squisite con le quali mi auguro di instaurare un rapporto duraturo nel tempo. Mando anche un saluto particolare a Gabriele Paparelli: ho capito in prima persona quello che ha provato lui quel drammatico pomeriggio a Roma. Lo saluto in modo particolare, conscio di aver rischiato di rivivere ciò che ha vissuto lui. Rivedendo le immagini in tv, ho rivissuto tutta la paura di quegli attimi e la disperazione totale nei volti di tutti i presenti in curva. La mia ragazza era alla sua prima volta in uno stadio, mio padre e mio fratello hanno assistito alla scena in diretta da casa...

Lo shock è stato tremendo per tutti, un vero e proprio incubo, che deve finire e che non dovrà mai più ripetersi.

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