Quando Casini si vestiva da sceriffo: «Gli scafisti? Spariamogli»

IRREGOLARI Nel ’99 l’Udc sosteneva la linea dura: «Le buone maniere non servono, è come essere in guerra»

Gli scafisti? È come in guerra, bisogna sparare. Almeno «in certe situazioni». Questa non troppo moderata proposta di inasprimento delle politiche di immigrazione non è attribuibile a un militante leghista in vena di provocazioni, ma porta una firma insospettabile, quella di Pier Ferdinando Casini. Mentre chi concorda con l’uso delle armi, pur specificando di ammetterlo solo «in certi casi», è l’attuale presidente della Camera, Gianfranco Fini. Mica è fantapolitica. Solo cronaca di qualche anno fa.
È il 22 settembre 1999, e al governo c’è Massimo D’Alema, quando in una conferenza stampa dell’allora Udc Casini, che già era etichettato come colomba, indossa invece la divisa da falco: «Con gli scafisti che scaricano sulle coste italiane centinaia di immigrati clandestini, siamo in guerra». Conclusione logica e secca, come una schioppettata: «Non servono le buone maniere. Oggi si deve poter sparare». L’esecutivo varava misure anticriminalità, Casini imbracciava il fucile. Il leader di An, Fini, non poteva restare impossibile di fronte a tutte queste accelerate sul tema della sicurezza. E così ecco Gianfranco che in quell’autunno di 10 anni fa affida alle agenzie il suo pensiero: «Sì, in certe situazioni può essere giusto mettere le forze dell’ordine in condizione di impiegare le armi, come del resto avviene già oggi».
Ma la posizione più articolata era quella del leader centrista. Che proponeva una ricetta «anticlandestini» in tre punti: sparare alle barche, trattenere nei cpt chi non fornisce le generalità e arrestare i clandestini che, una volta espulsi, tentino di varcare nuovamente la frontiera.
Anche all’epoca la presa di posizione fece rumore. Baffino D’Alema commentò con una battuta sarcastica: «Non sono i cristiano democratici? Sparare alla gente non mi sembra né cristiano né democratico. E pensare che il centrodestra aveva denunciato i rischi di una Stato di polizia».
Casini era in copertina, Fini seguiva.

Proponendo la sua ricetta per combattere il fenomeno, anzi, «il reato di immigrazione clandestina», quello che qualche anno più tardi non gli sarebbe piaciuto affatto. In fondo, spiegava il leader di An, «ordine e sicurezza sono nel nostro Dna». E certe cose non cambiano. Eccezion fatta per gli organismi geneticamente modificati, che di solito, però, sono vegetali.

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