Quando le donne guardavano il mare

Quando le donne guardavano il mare

«Potrai vedere una città affossata ad una collina alpestre, superba per uomini e per imponenza delle mura, il cui solo aspetto la mostra essere la Signora del Mare». È con queste parole di Francesco Petrarca che la professoressa Olga Speziali Panella introduce il lettore al suo libro «E le donne guardavano il mare» (Edizioni del Delfino Moro, 502 pagine), un saggio tra storia e gastronomia che parla di Genova «di stoccafisso e di garofano», ma anche «di aglio e di rose».
Genova in cucina, ma anche la Genova di tutti i giorni, a partire da quel «man-i-man», che come dice l’autrice altro non vuol dire che «e se poi...», grande nemico pubblico di Genova e dei genovesi che «ha bloccato nei secoli rapporti, rivelazioni, novità, tenativi, progetti e persino amori e sogni». E il più grande dei suoi figli, quel Cristoforo Colombo sconosciuto in patria, non sarebbe mai stato tale se nel corso della sua vita non lo avesse intenzionalmente ignorato.
Una Genova con un grosso peccato originale, quindi, ma pur sempre una città che in qualche modo entra a tal punto nell’animo dei suoi figli che nessuno ne può fare a meno. Ed ecco allora le parole del vecchio emigrante che vuole ritornare e che, acciaccato dall’età, si lascia andare al ricordo più caro:
«Ma se ghe penso/ Alloa me vedo o mà/ Veddo i mae monti e a ciassa da Nunsiá/ Mi veddo o Righi e me s’astrenge o coeu/ Veddo a Lanterna, a cava, lazù o moeu/Riveddo a-aseia Zena illuminà/Veddo i mae monti e sento franze o mà/ E alloa mi penso ancon de ritornà/A posà e osse dov’o mae madonnà».
Si parla di Genova e l’autrice coglie l’occasione per citare anche la bellezza delle sue donne. Ne parla, nel 1432, Enea Silvio Piccolomini, futuro Papa Pio II, che, per quanto religioso, non era insensibile al fascino demminile: «In verità, ripensando attentamente a questa città, mi convinco sempre più che, se Venere vivesse in questi tempi, non abiterebbe più Cipro...si stabilirebbe a Genova».
Occhi neri, pelle bianca, capelli corvini: le genovesi erano considerate tra le più belle donne d’Italia.
Donne sì, ma qualche volta anche streghe. E infatti Olga Speziali Panella parla delle cartomanti genovesi «vittime dell’ignoranza, della malafede, del fanatismo, dell’invidia, usate dal potere per criminalizzare il dissenso: il comportamento libero era demonizzato, i diversi punti».
Poi c’è il tragico capitolo di Triora, «paese arrampicato e antico» dove «si respira ancora una strana atmosfera e si confeziona in bottiglie lo strano ed ottimo “latte di lumaca”» che poi altro non è che una buona grappa.
La vita comunque era dura. «I contadini lasciano alle donne robuste le fatiche del campo per andare ai lavori di minatore nelle opere delle ferrovie - scriveva nel secolo XX la Gazzetta di Genova - le vedove dei capitani scaldano le ossa al sole mentre lavorano all’ago...

sui monti le fanciulle zappano il campo, scavano il fosso intorno all’olivo, potano la vigna, conducono dagli alti ovili le pecore». Ed è così che mano a mano si scopre quella Genova che forse non c’è più, ma vive sempre nei nostri cuori.

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