Un piccolo-grande libro «Genova violenta nei poliziotteschi anni Settanta» messo a punto da Carlo Romano, saggista e curatore della Fondazione De Ferrari, che raccoglie e custodisce fondi culturali, mettendoli a disposizione di tutti gli interessati. È uno dei tascabili di pregio della neonata «Via del Campo Edizioni», in compagnia con G8 Graffiti, Le Strade di De André e di Stokke mon amour, dedicato a stoccafisso e baccalà.
Come viene spiegato nelle «Premesse» del libro «il poliziottesco è un sottogenere che non è facile tener separato dal filone complessivo del cinema poliziesco, ma ha segnato la stagione anni Settanta e condiviso un certo gusto di titolazione». Proprio i titoli dei film, che introducono ciascuno una decina di brevi capitoli, fanno capire lo spessore di questa opera breve: non interesserà solo chi ama film dazione polizieschi, con affondi nel noir più grand guignol, ma cinteressa tutti come radiografia del nostro vivere degli ultimi quarantanni.
Il 1973 inaugura il filone dei poliziotteschi con il genovese «La polizia incrimina, la legge assolve» di Enzo Castellari (che fa seguito a «La polizia ringrazia» di Steno del 1972). Con sfondo Genova e la Riviera seguono: «La polizia è al servizio del cittadino?», «Il cittadino si ribella», «Mark il poliziotto spara per primo».
E ancora: «Italia a mano armata», «Genova a Mano armata». Titoli che denunciano temi caldi. Irrisolti pur se ormai sono evidenti le falle di un sistema in cui il malvivente è stato troppo spesso assolto a dispetto del poliziotto che se lo vedeva sfilare dalle dita.
Il poliziottesco racconta e indaga due fenomeni: linnestarsi - provocandone linternazionalizzazione - della mafia sulla malavita locale (più rassicurante in quanto dotata di una sorta di codice donore); soprattutto lincidere sulla malavita di una turbolenza, causata da tensioni politiche e dallattività di gruppi ideologici armati. I poliziotteschi hanno anticipato indagini sociologiche recenti: le Brigate rosse (che tanti intellettuali, servi dideologia, negli anni settanta definivano «sedicenti tali» e credevano nere) si uniscono con un filo rosso ai sistemi dei vecchi partigiani.
A pagare lo scotto di un richiamo «fintamente mitologico» sono le classi popolari genovesi, legate ad un concetto di mestiere altrove superato da una nuova organizzazione industriale, come nella Torino della Fiat.
In questo senso sono interessanti le pagine 20/21. Con il ricordo di un contrabbandiere vecchio stampo, Luigi Dapueto (Pieve Ligure) e di Pietro Soggiu, poi prefetto, che gli dà la caccia ma sa di essere di fronte ad un uomo abbastanza unico. Con la citazione di un saggio sociologico del 2003 La città e le ombre di Alessandro Dal Lago e Emilio Quadrelli (esaustivo su questi fenomeni). E di Quadrelli Andare ai resti. Banditi, rapinatori, guerriglieri nellItalia degli anni Settanta mette in risalto come la protagonista F., una ragazza sessantottina, sia di origini sociali altolocate. Tali furono spesso i rivoltosi del sessantotto e dintorni, di cui il preside Italo Malco del DOria aveva il coraggio di denunciare che erano figli di padre con lo yacht (altroché rivolta sociale!). Ma solo ora e raramente (vedi il giornalista Pansa), solo anche con libri come questo, piccola ma esaustiva enciclopedia di film girati a Genova in quegli anni, balza vivo il ritratto di quel feroce terrorismo.
Laltro aspetto del libro che avvince è limmutabile fascino di Genova. «Ero rimasto colpito dalla sua cinematograficità, dalla bellezza straordinaria ma variatissima, con una serie di set naturali diversissimi», così il regista Mario Lanfranchi in unintervista a Renato Venturelli (maggior esperto italiano di noir), che gli chiedeva perché avesse scelto la nostra città per «Genova a mano armata».
E non a caso, il curatore Romano ricorda che i fratelli Lumière già nel 1890 avevano filmato piazza Caricamento. Sarebbe interessante far conoscere attraverso mostre fotografiche «i set» di quei film girati a Genova, pur se è una cornice che non si può circoscrivere come negli inseguimenti mozzafiato, in moto tra Nervi e Monte Moro, de «Lultimo graffio» di Michele Saponaro (1983).
«I set» conservati, come nel deserto tunisino per «Guerre stellari», in Irlanda per il cottage dell«Uomo Tranquillo», hanno avuto buon ritorno turistico. Genova dei poliziotteschi è però tutto un set: caruggi, sobborghi, squarci di Riviera.
Tra i molti film ricordati e di cui si mettono in risalto le parentele con il cinema americano o francese, da segnalare «La bocca del lupo» (2009) diretto da Pietro Marcello e voluto dalla «Fondazione Marcellino» dei gesuiti genovesi, una «docu-fiction» sul legame, cristallino e non fragile, tra un balordo e un transessuale conosciuto in carcere. Una chicca dattualità e tante le chicche per i cinefili!
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