Quando Giorgione scatenò la Tempesta su Venezia ladrona

Misteriosa come la Gioconda, la Tempesta di Giorgione è uno dei maggiori rompicapo della storia dell’arte. Che cosa rappresentano quella donna discinta, che allatta il figlio sotto lo sguardo di un paggio-guardone, al limite di un paese su cui si scatenano tuoni e fulmini? Un’allegoria mitologica, magari Giove e Io? Il Ritrovamento di Mosè? Un idillio pastorale o Adamo che guarda Eva mentre allatta Caino, ammoniti da Dio? Nell’Ottocento si è pensato alla famiglia di Giorgione, mentre oggi c’è chi sostiene che il significato sia quello indicato nel 1530 da Marcantonio Michiel, che vede il dipinto in casa di Gabriele Vendramin a Venezia e lo descrive come «el paesetto in tela con la tempesta con la cingana (zingara, ndr) et soldato...».
Difficile che nel Cinquecento non si celassero simbologie dietro un quadro: ogni elemento dipinto aveva infatti una sua sottile ragion d’essere. Il problema è scoprirlo. Ma la Tempesta di Giorgione ha deciso di parlare. Il suo recondito messaggio starebbe nei fatti politici padovani, nella difficile situazione della città retta dalla Serenissima, dopo la fine drammatica della signoria carrarese. La singolare interpretazione si deve agli studi trentennali di Enrico Guidoni, ripresi e sviluppati in una intrigante mostra, «Giorgione a Padova. L’enigma del carro», che scopre i segreti del capolavoro indagando sull’ambiente culturale padovano tra Quattro e Cinquecento.
Quel «paesetto» è infatti Padova. Lo dice l’identificazione di edifici e monumenti dipinti ottenuta con il confronto tra antiche carte e mappe e l’attuale realtà urbana, attraverso sofisticate tecnologie multimediali, realizzate su progetto di «Creative Planet Webdesign & Media». Ogni sezione del dipinto, al centro della rassegna, è stato analizzato con elaborazioni informatiche a tre dimensioni e individuato. Lo testimonia un’intera sala munita di video e schermi: ecco il fiume padovano Medoacus che scorre tra il castello di Ezzelino all’estrema destra e le case a sinistra. Ecco, sullo sfondo, la cupola di Santa Maria del Carmine, ricostruita nel 1491, e accanto la Scoletta. In lontananza si vede la torre di Ezzelino che domina l’area di Ponte di Molino. E poi ci sono il carro, simbolo dei Carraresi dipinto in una Porta della città e il ponte di legno di San Tommaso costruito nel 1374 e rifatto in pietra nel corso del Cinquecento. Insomma, secondo i curatori si tratta proprio del segmento occidentale della città all’esterno delle mura carraresi.
Ma come mai la Padova dei primi anni del XVI secolo è rappresentata fra tuoni e fulmini, in piena tempesta e con quegli strani personaggi? La zingara, spiega Ugo Soragni, è la personificazione di Padova costretta ad allattare, cioè a mantenere la Repubblica di Venezia che, indifferente alle gravi carestie, impone ai cittadini tasse pesanti. La città dissanguata è anche appestata, come raccontano il fulmine e l’incendio, allusioni al contagio, mentre il fiume con le sue acque rappresenta il rimedio dal morbo. Mezzo secolo dopo, paradossalmente, i medici riterranno quelle acque «maligne» e putrescenti, causa della malattia. E il «soldato»? Si tratterebbe di Antenore, mitico fondatore di Padova.
Ma la domanda chiave è: che cosa c’entra Giorgione con Padova? Molto, come testimoniano i numerosi riferimenti padovani trovati nelle opere del pittore, sinora mai notati. Per dimostrarlo, accanto a quattro opere dell’artista, in mostra sono stati raccolti oltre sessanta fra dipinti, disegni, incisioni di grandi maestri dell’epoca che permettono di ricostruire un possibile itinerario di Giorgione. Un pittore che, dopo la prima formazione sotto l’influenza dei maestri Carpaccio e Bellini, viaggia lungo la penisola sino a Roma, facendo grandi esperienze. Fondamentali i contatti con l’intellettualità padovana, conosciuta tramite l’amico Giulio Campagnola, pittore, miniatore, incisore, poeta e scrittore, alter ego di Giorgione. Più giovane di qualche anno, Campagnola, considerato dai contemporanei uno dei maggiori eruditi, conoscitore delle lingue antiche, esperto di astrologia, sembra vivere in simbiosi con Giorgione almeno sino al 1505. I due, che compaiono insieme in numerosi dipinti, studiano, viaggiano, lavorano insieme, scambiandosi idee e conquiste pittoriche. È Campagnola - con cui si apre la rassegna - l’ispiratore delle complesse iconografie dei quadri di Giorgione, spesso venati di esoterismo e antisemitismo. Dietro a opere come il Mosè alla prova del Fuoco o l’Idillio campestre e Leda e il cigno ci sono riferimenti alla storia e all’attualità padovane, suggerite dal Campagnola, autore a sua volta di finissime incisioni come l’Astrologo, la Nuda, Il pastore ed il guerriero.
Giorgione muore di peste nel 1510, come ricorda l’affresco di Tiziano sulle pareti della Scuola del Santo di Padova del 1511 con il Miracolo del piede risanato. Al terribile morbo, evocato in vari dipinti e causato, secondo le teorie del tempo, dall’influenza degli astri, è dedicata una sezione della mostra, che raccoglie cronache, trattati medici, libri sull’argomento, come il De pestilentia patavina del 1555 di Ludovico Pasini o il De contagione e contagiosis morbis et curatione di Girolamo Fracastoro del 1546. Bisognerebbe leggerli per divertirsi.



LA MOSTRA «Giorgione a Padova. L’enigma del carro», Padova, Civici Musei agli Eremitani. Fino al 16 gennaio 2011. Curatori: D. Banzato, F. Pellegrini, U. Soragni, catalogo Skira. Informazioni: info@giorgioneapadova.it; www.giorgioneapadova.it.

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