Quando i soldi non danno fastidio

Quando i soldi non danno fastidio

di Carlo Maria Lomartire

«Non olet» dicevano i latini del denaro: non ha odore, Non puzza. Cioè, comunque è bene accetto, si intasca. Semmai il problema, la discriminante consiste nel modo in cui lo si usa dopo. Fatte le dovute e ovvie eccezioni non possiamo che trovarci d’accordo. Perciò non saremo certo noi a storcere il naso perché Prada si è aggiudicato il prezioso e prestigioso spazio all’Ottagono della Galleria, oggi occupato da McDonald’s, stracciando la concorrenza, Gucci e Apple, con un’offerta iperbolica, superiore del 150% alla base d’asta: 14 milioni per 18 anni.
Bel colpo per la casse del Comune. Da ridire, semmai, dovrebbero avere gli intelligentoni affamati di cultura della sinistra. Sì, perché secondo il bando d’asta proprio il progetto culturale sembrava determinante per decidere chi dovesse andare al posto dell’«odiato» re degli hamburger. Infatti se alla componente finanziaria dell’offerta il bando attribuiva solo il 40% dei punti di valutazione, quella culturale valeva il 60%. Niente da dire, un metodo del tutto in linea con il valore che notoriamente la sinistra attribuisce (dice di attribuire) alla cultura. Se nonché si scopre che subito dopo la presentazione del progetto, Apple era ben piazzato al primo posto, secondo era Gucci e terzo Prada. Il vantaggio dei genietti di Cuppertino era dovuto proprio, pensate un po’, alla parte culturale. Per la quale, invece, Prada era finito in coda.
Miracolosamente la classifica si capovolge appena si comincia a parlare di soldi. E al grido di «non olet!» la commissione di valutazione decide che il progetto migliore è proprio quello di Prada. Chi ci conosce sa che noi siamo fanatici sostenitori del mercato e delle sue regole. Perciò assolutamente nulla da eccepire. Se non qualcosa a proposito della tipica ipocrisia progressista. Perché se la cultura è un valore a priori tanto importante, non può poi essere scavalcato semplicemente da una paccata di denaro in più. Perché è come ammettere che tutto ha un prezzo e che oltre un certo numero di zeri la cultura si inchina al denaro. È un ragionamento «di sinistra» questo? Forse McDonald’s sarebbe rimasto al suo posto se avesse offerto 10 volte di più? Ma siamo alle solite: le prediche prima o poi devono fare in conti con la realtà.
Confesso - ma questa è una opinione personale e me ne scuso - che io avrei preferito che lì andasse Apple. Di negozi di Prada mi pare che in giro ce ne siano già abbastanza, compreso uno «storico» proprio in Galleria, a dieci metri da dove sorgerà il nuovo megastore di 5.000 metri quadrati che, ne siamo certi, sarà meraviglioso. E poi forse non sarebbe male se, oltre ai molti negozi del lusso, il centro di Milano offrisse anche qualcos’altro. Ma è, ripeto, opinione personale.
Da questa vicenda, inoltre si ricava anche l'impressione, che la sinistra dà spesso, di un uso pretestuoso della cultura, utilizzata come foglia di fico per nascondere le pubenda, qualcosa di cui si vergogna. Cioè, nel nostro caso: da quello spazio il Comune vuole ricavare, legittimamente e meritoriamente, il massimo possibile ma non può dare l'impressione di pensare solo al denaro e allora ecco la nobile copertura ideale del primato della cultura nella valutazione dell'offerta. Fino ad un cero punto, però.

Perché se poi i soldi sono proprio tanti ma tanti… E allora non permettetevi più di criticare chi non compra un libro per il suo prezzo, o chi cambia casa editrice per lo stipendio, o chi sfratta un antiquario perché ormai paga un affitto troppo basso. Giacché anche per voi la cultura ha un antagonista imbattibile: i soldi.

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