La ventilazione era modesta, a volte inapprezzabile. Il terreno di gioco al limite della praticabilità, a volte agibile. Il laterale a sostegno, il difensore di fascia, l’ala tornante, gli interni e il libero, le retrovie e il numero undici, l’impianto milanese e gli spalti esauriti, i felsinei e i blucerchiati, gentili ascoltatori, ecco i campi collegati, Ascoli non risponde, ci scusiamo, no Luzzi, non ancora, vediamo i risultati dei primi tempi.
Ho aperto il cassetto, cinquant’anni dopo, come ritrovare giocattoli smarriti ma non perduti, pagine di diario, disegni, matite spuntate, la gomma pane. Tutto il calcio minuto per minuto che altro era e che altro è, ancora? Una fetta di questa storia del pallone, la radiolina a transistor, tascabile, con l’antenna telescopica, la vera, unica amante, ogni tanto traditrice pure issa, con le batterie scariche o l’onda media che se ne andava, non sapevo dove. Il tabellone verde e giallo del Totocalcio, appeso nel bar, i risultati modificati a mano, tramite rotella apposta nel retro, del tabellone non del locale uso bar, la voce di Sandro Ciotti detto catarro armato oppure gorgoglio e pregiudizio, Enrico Ameri diceva, un decimo di secondo prima che la palla superasse la linea bianca di porta, «RETE!» mai «gol».
Era, il suo come quello di Ciotti, di Foglianese, Boscione, Luzzi, Carbone, Provenzali, era, dunque, un annuncio, non uno strillo invasato, era il dato di informazione e non la dichiarazione di guerra. Il popolo oceanico dei tifosi trovò un nuovo compagno di viaggio. Era costretto ad aspettare il mercoledì, in edicola lo Sport Illustrato regalava immagini, fotografie e schizzi a conforto di quello che avevamo immaginato, sognato, tre giorni prima. Le voci della domenica pomeriggio andarono a riempire il sogno. Fu Georges Briquet, un francese, il primo a inventarsi una trasmissione radiofonica «Sport et Musique», un po’ di Montand e un po’ di «rugby» (rigorosamente accentato sull’ultima), una melodia di Trenet e «le but» del Paris St Germain. Guglielmo Moretti rapì l’idea e la portò in Italia, soltanto calcio, il secondo tempo delle partite, non tutte, dieci gennaio 1960, Nicolò Carosio da San Siro per Milan-Juventus, Enrico Ameri dal Comunale di Bologna per Bologna-Napoli, Andrea Boscione dal Giuseppe Moccagatta di Alessandria per Alessandria-Padova, tre firme coordinate da Roberto Bortoluzzi, nello studiolo Rai di corso Sempione a Milano.
L’Italia del boom si era confezionata un altro regalo storico, le madri, le mogli, le fidanzate e, mettiamoci pure le amanti, incominciarono a fare i conti con la rivale, la radiolina, incollata all’orecchio, ovunque noi fossimo, al cinematografo, al pranzo di nozze, nelle passeggiate al parco. Un sussulto, un fremito, non era soltanto amore, era il gol. La tromba di Herb Alpert e The Tijuana Brass, batteria e fiati, introduceva lo spettacolo, A taste of honey, «Sapore di miele», il titolo perfetto alla bisogna, attimi di dolcezza prima di eventuali tormenti. Fino alle tre e un quarto poteva essere accaduto di tutto, chissà, forse, speriamo, preghiamo. Poi, eccoli, erano loro, Bortoluzzi smazzava. «Ecco i campi collegati... Sentiamo i primi tempi... Ameri?». «Al Bentegodi, Verona tre Napoli zero», a te Ciotti: «Grazie Ameri, al Mompiano di Brescia, Brescia uno Atalanta zero a te Foglianese». «Qui al Partenio di Avellino, Avellino zero Inter zero».
Era accaduto quello che era accaduto, ma restavano altri quarantacinque minuti, con la schedina del totocalcio tra le mani, uno-ics-due, a calciare l’aria, un pallone immaginario, disegnando lo stacco, la torsione e il colpo di testa, la rovesciata, il dribbling, l’urlo della folla anticipava la voce arrochita di Ciotti, chi ha segnato, loro, noi? L’intervento di Ezio Luzzi preannunciava una specie di entrata in guerra: «Tutto qui? Pensavo peggio», così lo strozzò, un pomeriggio, Ferretti dallo studio. Erano i nostri pupi, gli anni delle figurine e del calciobalilla eppure del giornalismo giusto, docenti con le palle, Brera e Zanetti, Morino e Panza, Palumbo e De Cesari, Tosatti, Arpino, Soldati, Carosio, Ameri, Ciotti, Martellini, De Zan, Carapezzi che di nome faceva Adone pensate un po’, Zavoli prima che arrivassero le truppe cammellate della televisione, mezzi busti e cosce intere, brillantine e ceroni, tacchi a spillo, tubini, tutto quello che non sa più di olio canforato e di segatura. Cinquant’anni in ascolto, radio-amatori, in camporella o nel tinello di casa, dovunque e comunque, a differenza del televisore, non necessari fili elettrici, antenne per illuminare lo schermo. Bastava e basta un apparecchio in plastica, dal colore improbabile, verde pisello, giallo limone, profondo rosso, da mettere in tasca, da posare, come un prezioso portaritratti in argento, sul tavolo della cucina o sulla scrivania, con auricolare incorporato per celarsi nel canneto degli astanti, senza farsi notare se non per quel filo bianco che fuoriesce dalla giacca e si infila nel famoso condotto uditivo.
Tre quarti d’ora divenuti poi quasi due ore, un rapporto completo, totale, tutta la partita minuto per minuto, prima, durante, dopo, anche gli spogliatoi, i commenti, le interviste, un po’ ubriachi per colpa dello sponsor: «Se la squadra del vostro cuore ha vinto brindate con Stock 84, se ha perso consolatevi con Stock 84», non era previsto il pareggio ma la bottiglia e il bicchiere da cognac sì, anche se trattavasi di brandy, dunque si libava a prescindere, le schedine non giocate del Totocalcio finivano dal barbiere, utili per raccogliere la rasatura, in cambio portavamo a casa il calendarietto profumato con biondone poppute e procaci e, a fondo pagina, il programma della serie A.
Ora abbiamo tutto il cucuzzaro, il decoder, la smart card, la pay tv, la pay per view, la spider cam, la moviola e il moviolone, l’intervista flash, il bordocampista, il quarto uomo, il tabellone luminoso, il labiale da decifrare, di più, ancora, tutto, davvero tutto.
Eppure mi manca qualcosa: una voce, scusa Ameri, una piccola antenna, RETE, il suono della tromba, i colpi sulla batteria, il sapore di miele. Provo a cercare. Inutilmente. Devo richiudere il cassetto.
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