Quando il prof Monti era l’allievo «Che imbranato, 5 in ginnastica...»

Quando il prof Monti era l’allievo «Che imbranato, 5 in ginnastica...»

Milano «Quella volta che si beccò cinque in educazione fisica lo canzonammo un bel po’. La sua pagella era un florilegio di sette e otto e quell’insufficienza suonava come un affronto. Noi imitavamo il disappunto del professore, in verità molto esigente: Monti, insomma, come si fa come non si fa... Ma lui non se la prendeva e non chiese l’esonero dalla ginnastica. Non era permaloso. Solo un po’ imbranato». Padre Umberto Libralato, chioma brizzolata e memoria lesta, è stato compagno di banco di Mario Monti al Leone XIII, lo storico liceo dei gesuiti frequentato dalla buona borghesia milanese (tra gli ex-alunni famosi spiccano i nomi di Massimo Moratti, Gabriele Albertini, Luigi Santucci, Gabriele Salvatores). Era la fine degli anni ’50 e a scuola si andava in giacca e cravatta (vedi foto della seconda nel 1960, Monti è il terzo da destra in terza fila). Soprattutto, si studiava sodo perché essere ammessi al prestigioso istituto era un privilegio da non perdere con una bocciatura che valeva l’espulsione. Ma non era questa la ragione dell’impegno del diligentissimo Monti. Il padre direttore di banca, «con una schizzinosa distanza dalla politica» come ha rivelato lui stesso in un’intervista a L’Espresso, l’aveva educato precocemente al rigore e alla moderazione. Il Leone XIII era la scuola giusta, al punto che divenne una tradizione familiare visto che qui sono stati iscritti anche figlio e nipote.
«Era tra i migliori della classe senza essere antipatico o geloso della propria preparazione», ricorda ancora Libralato. «Se gli chiedevi un aiuto te lo dava volentieri. E qualche volta lo chiedeva anche lui a me, stupendomi. Ma anche se non era un leader un po’ sfrontato come Carlo Ortolani, il nostro capoclasse ora docente al Politecnico, tutti pensavamo che dietro la sua apparenza normale ci fosse una certa genialità. Quando fummo all’ultimo anno, in classe scommettemmo che sarebbe stato lui a laurearsi per primo. Manco a dirlo, indovinammo».
Pur studiando latino e greco con profitto, Mario aveva mutuato dal padre il pallino per l’economia, altro che ingegneria come tanti gli consigliavano. In più, tanto per capire il tipo, il suo hobby era lo studio delle lingue straniere. Niente biliardo al vicino bar Vittoria, dove si ritrovavano altri compagni di classe, dopo le lezioni. Disinteresse totale alla pratica sportiva. Partecipava alle attività culturali dell’istituto e della Congregazione mariana, emanazione dei gesuiti per i giovani cattolici. «Ricordo che a sedici anni, prima liceo», è sempre l’ex compagno di banco che parla, «nel tempo libero si dedicava allo studio del russo. Aveva deciso di andare a visitare l’Unione sovietica e dunque, coscienziosamente si preparava a quel viaggio». Quando tornò portò notizie e filmini anche a scuola. Ma l’eccessivo apprezzamento del sistema scolastico russo di cui aveva parlato nel giornalino dell’istituto gli procurò una lettera del rettore. «Mi spiegava», ha raccontato lo stesso Monti, «che aveva cestinato lo scritto perché avevo avuto un approccio ingenuo verso un sistema pericoloso sul piano etico». Il rettore aveva ragione, ma in un impeto di rabbia lo studente orgoglioso strappò la lettera. Fu quella, forse, l’unica intemperanza giovanile del futuro rettore della Bocconi e commissario europeo. Per il resto, «mai un litigio, una prevaricazione». Una routine equilibrata, anche un tantino noiosa, verrebbe da dire. Un giovane già vecchio? «Forse un po’ sì, era già inquadrato», ammette padre Libralato. Che, se deve collocarlo in qualche schieramento politico, accenna «alla vecchia sinistra dc. In realtà, sarebbe stato un gesuita perfetto, intelligente e modesto allo stesso tempo». In politica, però, essere un gesuita non è esattamente un complimento... «Difatti, la politica non è mai stata tra i suoi interessi.

Anche quando ci siamo ritrovati nel maggio scorso per festeggiare il cinquantesimo della maturità - c’eravamo quasi tutti - gli chiesi: Mario, cosa aspetti, non ti tenta l’idea di candidarti? No, Umberto, mi rispose, non è il mio mondo...».

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