Quando la reazione è un capolavoro

Un libro "scandaloso" che riconduce tutto alla legge di Dio: la politica come la morale

Quando la reazione è un capolavoro

Il conte Joseph de Maistre morì a Torino il 26 febbraio 1821. La malattia gli aveva impedito di terminare quella che è considerata la sua opera più importante, Le serate di Pietroburgo; o, per citare il libro con il titolo originale completo, Les soirées de Saint-Pétersbourg, ou Entretiens sur le gouvernement temporel de la Providence, suivis d'un Traité sur les sacrifices. La figlia Constance, il presbitero e pensatore Félicité R. de Lamennais e Paul Saint-Victor faranno pubblicare il testo in luglio, a Parigi, in due volumi dalla Librairie Grecque, Latine et Française (sita in rue de Seine, 12). Pagine prive del dodicesimo e conclusivo colloquio, del quale è rimasto soltanto un abbozzo.

Quest'opera, come altri scritti di de Maistre, ha avuto origine negli anni in cui fu ambasciatore del Regno di Sardegna a San Pietroburgo (1802-1817). È composta da dialoghi filosofici tra un conte (da intendersi il medesimo autore), un senatore russo e un aristocratico francese. Tratta, tra l'altro, della giustizia divina, del peccato originale, della sofferenza umana. Ma non soltanto. De Maistre nelle Serate riprende questioni già esposte in altre pagine e offre un compendio definitivo delle proprie idee.

Che senso ha oggi proporre nuovamente un'opera che i manuali dedicati all'avventura delle idee ignorano in gran parte e, quando ne trattano, la considerano frutto di una concezione reazionaria? Basterebbe rileggere quanto scrisse Harald Høffding alla fine del secolo XIX nella sua Storia della filosofia per rendersene conto. Questa celebre opera, tradotta già nel 1913 (per la casa editrice Bocca) da Piero Martinetti e ristampata per decenni, pone de Maistre tra coloro che cercarono «il rinnovamento del principio di autorità». E lo considera, accanto ad altri tradizionalisti, un autore che ha sfidato «le conquiste del pensiero del secolo XVIII». L'autorevole studioso lo inserisce in una scuola che cercò di «ricondurre ogni ordinamento della vita umana e ogni intelligenza della realtà a principi sovrannaturali». Per tale motivo, osserva inflessibile, ha «maggior interesse per la storia della letteratura che non per quella della filosofia».

Questa valutazione non è ingenerosa e non è delle peggiori, ma va considerata frutto del periodo positivista. Un pensatore e storico come Høffding, che affrontò i massimi problemi della filosofia morale e religiosa cercando di risolverli da un punto di vista empiristico ed escludendo ogni giustificazione metafisica, dinanzi alle opere di de Maistre non aveva a disposizione altre soluzioni se non quella riduttiva qui riportata. Certo, il giudizio non è cambiato molto nel corso del Novecento, soprattutto se gli scritti di de Maistre erano esaminati con una prospettiva «politicamente impegnata» e attenta alle idee ritenute corrette in quel momento, tuttavia qualcosa è recentemente mutato. Si prenda, fra i possibili esempi, lo spazio che il Dizionario delle opere filosofiche, pubblicato sotto la direzione di Franco Volpi nel 2000 e basato sul Lexikon der philosophischen Werke (uscito a Stoccarda nel 1988), dedica al nostro autore ospitando due voci stilate da Keith Taylor. Una è sul Du pape, libro che vide la luce a Lione, anonimo, nel 1819; l'altra è per le Serate. L'estensore, parlando di quest'ultima, osserva: «Da diversi punti di vista il pensiero di de Maistre sembra voler riportare in vita il Medioevo, ma al tempo stesso costituisce un'anticipazione delle teorie romantiche degli anni venti e trenta del XIX secolo». E ancora: «Nel suo pessimismo che viene chiaramente alla luce nelle tetre descrizioni dell'eterna sofferenza umana, si è voluta vedere un'anticipazione del pensiero di Nietzsche, del darwinismo sociale e addirittura del fascismo».

Che dire? Semplicemente che le interpretazioni sono cambiate anche per Joseph de Maistre e quel suo convincimento che l'uomo sia dotato di ragione soltanto in modo parziale, per quanto egli lo abbia giustificato attraverso il comportamento peccaminoso, trova in un secondo tempo conferme altrove. O meglio, l'autore delle Serate rimprovera ai filosofi di sopravvalutare la ragione umana e oggi questo sospetto non è prerogativa dei soli reazionari.

Comunque sia, la traduzione delle Serate di Pietroburgo riproposta in questo volume risale al 1971. La cura si doveva ad Alfredo Cattabiani e il libro inaugurava la collana Tradizione dell'editore Rusconi, una piccola serie di testi che in quegli anni non fu accolta con gioia, vero è che gli attacchi non tardarono. Del resto, Cattabiani era direttore editoriale, appunto, della Rusconi e da lui dipendevano le scelte. Per fare un esempio tra i numerosi possibili, su Rinascita del 31 dicembre 1971 (la traduzione delle Serate fu stampata in novembre) apparve un articolo che utilizzava questi termini parlando dei libri pubblicati da Rusconi: «Non si tratta certo di un pericolo da sottovalutare, solo perché è stato possibile circoscrivereil suo campo di manovra e pretendere la quarantena dell'ufficiale sanitario». Nella collana promossa da Cattabiani, dopo de Maistre uscirono, per fare un paio d'esempi, di Juan Donoso Cortes il Saggio sul cattolicesimo, il liberalismo e il socialismo e di Pavel Florenskij La colonna e il fondamento della verità. Il direttore editoriale aveva curato direttamente le Serate; anche perché al loro autore dedicò studi continui, a cominciare dalla tesi di laurea (facendo arrabbiare Norberto Bobbio, che era controrelatore).

Questo libro, riedito per restituire voce a un pensiero controcorrente e oggi politicamente scorretto, ma anche per rendere omaggio all'antico curatore, conserva le due introduzioni che Cattabiani scrisse. E per i medesimi motivi è stato aggiunto, come nell'edizione 1971, il trattato di Plutarco Perché la giustizia divina punisce tardi. Fa parte della raccolta dei Moralia ed era stato posto dal curatore in appendice (non ritenne opportuno, invece, terminare con il Trattato sui sacrifici). Anche de Maistre aveva tradotto lo scritto plutarcheo in francese e nella prefazione lo giudicava ideale per confermare le tesi da lui sostenute: «Non vedo quale altra opera, tra quelle degli antichi filosofi, si potrebbe preferire a questa». Anche in tal caso c'è una motivazione meditata: l'operina di Plutarco, nota con il titolo latino De sera numinis vindicta, facente parte di un gruppo di testi religiosi dell'antico storico e sacerdote di Apollo, attraverso un dialogo di quattro immaginari personaggi prende in esame il tema della provvidenza divina partendo dalle opinioni di un anonimo epicureo.

La discussione si sofferma sui modi della giustizia ultraterrena, talvolta incomprensibile per la presunta lentezza che mostra nel punire i colpevoli.

Essa non è però assente, il tempo che la divinità sceglie per metterla in atto pone in evidenza i diversi criteri seguiti dall'uomo e di chi sta sopra di lui; la creatura non è in grado di comprendere le scelte divine. Insomma, il trattatello di Plutarco ha una sua continuità nelle Serate di Pietroburgo.

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