Quando la scienza diventa un paradosso: uno scimpanzè vale quanto Shakespeare

Secondo la scienza, un numero infinito di scimpanzè che prema a caso i tasti di un computer per un tempo infinito è certo che riuscirà a comporre qualsiasi testo prefissato, persino la Divina Commedia o l'opera omnia di Shakespeare. Ma è solo un altro paradosso

Quando la scienza diventa un paradosso: 
uno scimpanzè vale quanto Shakespeare

Secondo la scienza, in nome del cosiddetto «paradosso della scimmia di Borel», un numero infinito di scimpanzè che prema a caso i tasti di un computer per un tempo infinito - dove gli «scimpanzè» che battono sul pc rappresentano un meccanismo per produrre una sequenza infinita di caratteri casuali - è certo che riuscirà a comporre qualsiasi testo prefissato. Insomma, se le scimmie possono battere infinite volte, prima o poi scriveranno anche la Divina Commedia. O l’opera omnia di Shakespeare. Ma si tratta, appunto, e per fortuna, di un paradosso.

E la letteratura, al contrario della scienza, grazie a Dio e al concetto di infinito, non si fa coi paradossi. Motivo per cui, con tutto il comprensibile dispiacere degli animalisti e dei darwinisti, le scimmie vivono nelle gabbie a spulciarsi e l’uomo in comode case a leggere sul divano. Una sola coppia di cromosomi in più, fa un’enorme differenza. Comunque, ieri il sito della Bbc riferiva che il programmatore americano Jesse Anderson ha messo alla prova la tesi della «scimmia instancabile» con alcuni milioni di «scimmie virtuali», ovvero dei generatori di stringhe random di nove caratteri: se queste risultano presenti nelle opere di Shakespeare vengono conservate, altrimenti sono scartate.

Per facilitare ulteriormente le cose - cioè barando - le stringhe sono state previste senza spazi né segni di punteggiatura: in questo modo la prima opera a essere «completata» è stato il sonetto A lover’s complaint. Tuttavia, come è stato notato, il procedere per gradi conservando le stringhe «giuste» costituisce una scorciatoia: se si volesse ottenere un libro tutto di seguito occorrerebbe un tempo molto lungo. Più dell’età dell’universo. «Vi sarebbero innumerevoli tentativi falliti per un solo carattere, poi per due caratteri e così via; tutti i libri più corti di quello in esame poi apparirebbero prima, innumerevoli volte», ha spiegato il matematico Ian Stewart.

Bisogna poi aggiungere che in un altro tentativo virtuale di qualche anno fa, alcuni miliardi di anni di «tempo-scimmia» erano riusciti a produrre solamente parte di un verso dell’Enrico... Quanto all’unico tentativo di mettere fisicamente un computer in una gabbia di macachi, si è concluso dopo un mese. Risultato: cinque pagine con la lettera «S», e una tastiera rotta. Comunque, pur col comprensibile disappunto di Piergiorgio Odifreddi, l’idea che la scienza possa spiegare, giustificare e riprodurre in laboratorio ogni cosa, la Vita, Dio e persino la Letteratura, è oltremodo stucchevole.

La storia della scimmia che battendo sui tasti prima o poi riesce a scrivere Shakespeare è peggio di quella che vuole negare Dio sostenendo l’ipotesi che se metto i diversi meccanismi di un orologio in una cassa e mi metto a scuoterla all’infinito, prima o poi tutti i pezzi si comporranno in maniera corretta e l’orologio prenderà a funzionare. La vera domanda a questo punto è: ammesso che ciò sia possibile, chi scuote la cassa? E poi, alla fine, più che il genio ciò che manca alle scimmie, come del resto ai matematici, è l’ironia. Principio sul quale si regge buona parte della Letteratura.

Odifreddi, e uno scimpanzè, non avrebbero mai potuto, ad esempio, commentare la notizia della Bbc con una battuta tipo: «Un esercito di scimmie virtuali sta scrivendo Shakespeare. C’è qualcosa di McIntosh in Danimarca».

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