Quando sprintavano "derny" e campioni e nel parterre sfilavano cumenda e soubrette

Un ciclismo antico tra volate, spettacoli e vip al ristorante

Quando sprintavano "derny" e campioni e nel parterre sfilavano cumenda e soubrette
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C'era una volta la Sei Giorni di Milano. C'era quando, con l'arrivo dell'autunno, il ciclismo su strada si fermava anche se oggi non si ferma più, diciamo che rallenta, con squadre, gregari e campioni che "emigrano" nei Paesi caldi per allenarsi o continuare a correre in una stagione che non si interrompe più. Ma quella invernale resta la stagione della pista e delle Sei Giorni. Ciclismo antico e di fascino che dal Kuipke Velodrome di Gent in Belgio al Lee Valley Velodrome di Londra ma anche a Berlino e a Bremen in Germania continua a vivere e racconta una storia che profuma d'altri tempi.

Tempi in cui anche da noi c'erano i velodromi, tempi in cui anche Milano aveva la sua Sei giorni prima al Palazzo delle Scintille in Fiera dove nei prossimi anni potrebbe ritornare, poi per una ventina d'anni in quel tempio della velocità che è stato il Vigorelli e poi ancora nello sfortunato Palazzo dello sport crollato sotto il peso della nevicata del 1985. Era la sera del 17 gennaio di quarant'anni fa quando la più incredibile nevicata mai caduta su Milano bloccò per giorni la città e fece crollare le travi portanti di quella meraviglia di Palazzetto a forma di "lumacone": non ci fu nulla da fare e venne abbattuto con grave danno per tutti gli altri sport ma soprattutto per l'atletica (ospitò anche una edizione indoor dei Campionati Europei) e per il ciclismo. Sembrava fatto apposta per le Sei Giorni con i suoi 13 mila posti a sedere, con le sue curve, con il suo parterre che, nelle telecronache dell'indimenticato Adriano De Zan, erano sempre "de roi...". Altri tempi. La prima Sei Giorni al palasport si corse nel 1976 e a vincerla furono Francesco Moser e Patrick Sercu. Era spettacolo nello spettacolo con Felice Gimondi, Beppe Saronni, Rik Van Linden, Renè Pijnen, Marco Villa, Silvio Martinello e tanti altri ancora. Una settimana di ciclismo che metteva insieme sport e spettacolo. Campioni in pista tra fughe e sprint, grandi cantanti sul palco come Gino Paoli, Peppino di Capri, Ornella Vanoni ed altri ancora con Pippo Baudo e Daniele Piombi a far da cerimonieri. Nel bel mezzo politici e vip che allora erano i "cumenda" in paltò con sciure impellicciate al seguito, accomodati e attovagliati al ristorante nel centro del velodromo più interessati a farsi vedere che ad applaudire i corridori.

Le Sei Giorni erano ( e in qualche caso ancora sono) un "unicum" nel ciclismo professionistico con i corridori "confinati" nel palasport non solo a sprintare sulla pista ma anche a condurre la loro routine quotidiana inclusi pasti e riposo per quasi una settimana, che oggi pare impossibile anche solo a pensarci. Per qualcuno erano "americanate" con i campioni a sfidarsi in pista in cinque o sei specialità e il pubblico diviso in due categorie: la lowermiddle-class che poteva permettersi solo l'ingresso alla Tribuna Pubblico posta al di sopra della pista e la upper-middle-class che se ne stava in mezzo alla pista nella zona adibita a ristorante. C'erano le sei giorni tra volate, americane, eliminazioni, gomitate, punti, accordi più o meno sottobanco, patti tra gentiluomini e non sempre tra gentiluomini, premi, sponsor, soubrette, cavalieri del lavoro e commendatori a premiare i vincitori e un'idea di ciclismo più ruspante ma anche più romantica. C'era una volta il ciclismo delle Sei Giorni ed oggi da qualche parte resiste ma bisogna andarselo a cercare. E c'erano una volta anche i derny, roba per nostalgici. Roba da olandesi e da fiamminghi. Roba per malati della pista dove una volta s'imparava ad andare in bici e a vincere le volate .

Cera una volta quella motoretta con i pedali e c'erano una volta quei piloti un po' strani in tuta e caschetto, metà centauri metà ciclisti, che si portavano a ruota gli sprinter sulle paraboliche dei velodromi. Un pezzo di storia . Un ciclismo che ora è retroguardia che fatica a sopravvivere e a trovare sponsor. Però il fascino resta.

Ciclista e pilota, pilota e ciclista, un corpo solo, un solo respiro, un solo gesto e un'intesa che è un misto di perfetta abilità fino a quando, a qualche giro dal termine, moto e bici si separano come missile e navicella. E alta scuola della velocità. Qui si fa lo show e qui i velocisti diventano davvero velocisti. Noi qui facevamo scuola. Anche alla Sei Giorni di Milano. Che purtroppo non c'è più. Che si spera possa tornare.

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