Cronache

Quando Stefanini firmò «al buio» il contratto con la Libia

Il libro «I ragazzi del ’76», scritto da Laura Maragnani ed edito da Utet, racconta le «vite parallele» di Gustavo Stefanini, «padre» dell'azienda spezzina Oto Melara, e del suo amico, collaboratore e successore Sergio Ricci. È il quinto volume della collana che Finmeccanica dedica agli uomini del gruppo che hanno ricoperto un ruolo importante nello sviluppo industriale e tecnologico dell’Italia.
Stefanini è stato il protagonista di un'epopea aziendale che ancora oggi, a vent'anni dalla sua morte, ha qualcosa di unico. Ha fatto dell'Oto Melara un marchio conosciuto in tutto il mondo: una fabbrica in cui si lavora, in certi periodi, giorno e notte per star dietro alle commesse che arrivano da ogni angolo della terra. Casse 1910, Stefanini arriva in Oto Melara nel 1946 e ci rimane per 35 anni, una vita intera. Farà il direttore commerciale, il direttore generale, l'amministratore delegato, il presidente. «È lui l'uomo dell'alfa e dell'omega, il principio e la fine di questa storia», racconta il libro. In Oto Melara è il Presidente con la P maiuscola. Dotato di grande carisma, era un leader nato: un uomo brillante, coltissimo, con un grande senso di sé.
Era un militare e militare è rimasto fino all'ultimo. Ex ufficiale della Marina, arma in cui aveva fatto la guerra, proprio per questo era abituato a rispettare abitudini e regole e a pretendere dagli altri il rispetto delle regole. L'Oto Melara era così una nave-azienda, di cui lui era il comandante ma in cui tutti dovevano avere ben chiara la propria responsabilità e il proprio ruolo.
Stefanini fa l'Accademia della Marina a Livorno e poi nel 1933 si laurea in ingegneria al Politecnico di Milano. Durante la guerra è un incursore della prima ora, fa parte della segretissima squadra del Serchio della X Mas. Viene catturato dagli inglesi che affondano il suo sommergibile mentre fa rotta per Alessandria d'Egitto. Trascorre sei anni di prigionia in India, a Bangalore: ne approfitta per imparare a memoria la Divina Commedia, per studiare l'inglese e per prepararsi a ricostruire la vita in una patria distrutta come è quella che trova al suo ritorno dalla prigionia.
La carriera all'Oto Melara è fulminante. Dopo soli tre anni dall'assunzione con la qualifica di tecnico, nel 1949 è già un dirigente. Dopo dieci anni è direttore commerciale e dopo altri dieci, nel 1966, diventa amministratore delegato.
Nel frattempo l'Oto Melara è diventata la più importante fabbrica italiana di produzioni militari. Nel 1955 conquista il contratto per il cannone da 76/62 da montare sulle fregate Centauro di nuova costruzione (il famoso «76» a cui si riferisce il titolo del libro), un impianto innovativo antinave e antiaereo. È del suo collaboratore (e successore) Sergio Ricci l'intuizione vincente di utilizzare l'alluminio nella progettazione dei cannoni navali: rispetto ai primi 76 in acciaio sarà per l'Oto Melara un grande salto tecnologico e aziendale. Lo acquistano cinquanta marine militari, dall'Iran all'Iraq, dalla Nigeria alle Filippine, persino gli americani. Anche la Francia, che aveva un suo cannone da 100 a cui teneva molto, nel 2000 si «arrende» e compra quello dell'Oto.
L'altra svolta importante per l'Oto Melara di Stefanini, con l'appoggio naturalmente del governo italiano, è il cosiddetto «contrattone» con la Libia. Quasi sei milioni di euro attuali, che a metà degli anni Settanta significavano un contratto «colossale».
Oto Melara, che negli anni Trenta era un'azienda dell'IRI, passa negli anni Cinquanta a Finmeccanica (con un ulteriore passaggio negli anni Settanta a EFIM, la holding del sistema delle Partecipazioni Statali).
Il più stretto collaboratore di Stefanini è Sergio Ricci, l'altro protagonista di tutti i passaggi della storia dell'Oto Melara, dalla progettazione del cannone 76 alle partecipazioni nelle più importanti società di produzioni militari, da Breda Meccanica Bresciana alle Officine Galileo di Firenze. Nel momento di massimo sviluppo di questo «polo nazionale dell'industria della difesa» la Oto avrà 2500 dipendenti, la Breda 850 e le società partecipate e l'indotto altre migliaia per un fatturato altissimo. Ricci (entrato in azienda nel 1951) è l'erede designato di Stefanini, il suo braccio destro per trent'anni e poi il suo successore come amministratore delegato e poi presidente dell'Oto Melara. È anche un grande progettista, il cui «rimpianto» rimarrà sempre appunto quello di non avere più tempo da dedicare alla progettazione. Nel 1980 (poco prima che l'Oto Melara festeggi i suoi 75 anni e Stefanini i suoi 70) Ricci diventa amministratore delegato. Nel 1982 Stefanini lascia la presidenza dell'Oto. Sergio Ricci, il più giovane dei due, muore nel maggio 1986, dopo una breve malattia. Lo stesso anno il presidente Cossiga nomina Stefanini cavaliere del lavoro, un riconoscimento arrivato forse tardi ma di cui è estremamente orgoglioso. Stefanini muore nel 1992.
È proprio un aneddoto legato alla firma del contratto libico che traccia la figura di Stefanini. Tripoli: luglio 1972. Le trattative andavano per le lunghe e inoltre era il mese di Ramadan e quindi si poteva lavorare solo di notte. Quando finalmente si arriva all'accordo la parte libica presenta il testo del «contrattone» scritto in arabo. Avrebbe potuto esserci scritta qualunque cosa, i collaboratori consigliano di non firmare. Stefanini allora si rivolge al colonnello libico responsabile della trattativa: da ufficiale a ufficiale dammi la tua parola che quello che c'è scritto qui in arabo corrisponde a quanto abbiamo stabilito. «Giuro», risponde il colonnello libico alzando la mano destra. Stefanini prende la penna e tra lo stupore dei suoi firma: «Io sono il capo e la responsabilità è sempre del capo. Me la prendo tutta». Da quel momento per i libici Stefanini è «brata Gustavo», brother (fratello) Gustavo.


In questa firma «al buio» c'è tutto il carattere del personaggio, insieme avventuroso e deciso: ci sono il gioco di squadra, la fiducia, l'azzardo calcolato, il suo essere uomo di parola, uomo d'onore.

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