Quando al Vigorelli s’entrava con mille lire ed era tutto esaurito

Il cuore della Milano della boxe prima e dopo la Seconda Guerra Mondiale. Da Erminio Spalla a Carlo Negri fino allo show di Ray Sugar Robinson

Ci fu un tempo in cui il Velodromo Vigorelli faceva record d’incasso con 12mila spettatori e per andare a sedere a bordo ring si pagavano mille lire. Era l’epoca della Milano da bere con la boxe. Immediato dopoguerra: 8 novembre 1946. Riprendeva una tradizione, sul ring due pesi massimi di piccola stazza, campionato italiano tra Luigi Musina (detentore) e Duilio Spagnolo, due personaggi d’allora. Era la rivincita di un match concluso per squalifica due mesi prima, ma tanto bastava. Oggi dire Vigorelli, per molti significa niente. Cosa sarà mai? Un rudere dimenticato nei pressi della vecchia Fiera di Milano, una pista che non serve, un prato dove provarci perfino lo sci su neve artificiale. Altri ricorderanno il primo nome, velodromo Sempione, e ripescheranno alla memoria i ruderi di uno sport antico, oppure lo sfrecciare felice su quella pista, definita magica, di Coppi e Bartali, dell’olandese Van Vliet e del belga Scherens, dell’inglese Harris, un fulmine dello sprint, di Gaiardoni, Maspes e compagnia che usava meno doping e più gambe.
La boxe aveva il suo cuore nel Vigorelli, ma anche all’Arena, al Palazzo dello sport, al teatro Nazionale o a quello dei Filodrammatici ed altri mille anfratti di quella Milano, palestre e piccole sale rionali che andavano da Porta Venezia a Porta Volta, da viale Bligny a via Meravigli, sfide epiche riempivano il teatro Politeama, il Lirico, il Puccini, il Dal Verme, la sala Carpegna, la Pelota di piazza Venezia. Era la boxe di un tempo troppo lontano e ormai sepolto che riprendeva il filone dell’ante guerra. Erminio Spalla, il primo nostro campione d’Europa dei massimi, proprio al Vigorelli perse l’ultimo suo titolo italiano e scrisse: «La mia carriera terminò ch’io ero ancora in piedi. Ma inesorabilmente terminò. Sic transit...». Eugenio Pilotta, fante delle trincee, campione italiano dei massimi, nel maggio 1919, rischiò credibilità e titolo per risolvere un conto personale con Carlo Negri «ardito bombardiere». Al Velodromo Sempione si presentarono 10mila spettatori, ma il match fu un lampo: solo cento secondi. Si incrociarono due destri, andò a segno quello di Negri che, non pago di vedere l’avversario a terra, caricò con altri colpi. Pilotta capì. «Quel demonio mi voleva morto», raccontò. Restò steso fino alla squalifica del furibondo Negri, eppoi sgattaiolò sotto le funi per fuggire verso gli spogliatoi, inseguito dall’avversario.
Il Vigorelli fu teatro di mille storie e spettacolari combattimenti. La sfida (23 maggio 1926) tra Mario Bosisio, beniamino delle signore milanesi, e il belga Renè Devos, asso mondiale dei medi. Quel giorno Bosisio, milanese purosangue, incassò 100mila lire di borsa e una bella vittoria dopo uno dei combattimenti più difficili della sua carriera. Carlo Orlandi, splendido peso leggero sordomuto, conobbe un altro dramma contro il portoricano Pedro Montanez che lo bombardò di colpi a due mani fino a distruggerlo.
Prima e dopo la guerra, il Vigorelli raccontò storie splendide della nostra boxe. Saverio Turiello, campione d’Europa dei pesi welter, chiamato la pantera di Milano, pugile furbo e ventriloquo (diceva stop e l’avversario si fermava) incrociò i pugni con Marcel Cerdan, destinato a diventare campione del mondo dei medi, prima della tragica fine. I due si erano già incontrati a Parigi e Turiello venne sconfitto. Nella rivincita del 3 giugno 1939, l’Italiano, di sei anni più anziano, cominciò a mollare nell’11° round e finì sconfitto ai punti al 15°. Nel 1944, in una notte di bombe incendiarie e dirompenti, il velodromo fu seriamente rovinato. Ci vollero trenta milioni per riassestarlo. Ci pensò la Sis di Vittorio Strumolo, impresario che diede il via a una ventennale stagione d’oro nella quale combatterono campioni italiani e stranieri. Passarono sul ring o nelle palestre sotto la pista del Velodromo, Tiberio Mitri e Franco Festucci, Mazzinghi e Bossi, Benvenuti, Famechon, Humez e Ralph Dupas, Loi e Garbelli. Perfino Ray Sugar Robinson annusò l’aria del Velodromo, benché soltanto in allenamento.

E così Nino Benvenuti, che toccò il tappeto per un pugno di Italo Scortichini, ma la cosa passò sotto silenzio. Poi, per decenni, il silenzio. Il Vigorelli è rimasto lì, monumento di una Milano antica e di storie di pugni. Dimenticato.

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