«Quante storie ci ha raccontato nel suo locale»

«Era simpatico, lo frequentavamo molto durante le riprese del film. Era uno degli italiani che vivevano lì in pianta stabile. Ma ora non so che dire, sono sedici anni che non so nulla di lui». Così Diego Abatantuono, protagonista di «Puerto Escondido», ricorda Claudio Conti, l’imprenditore veronese che ispirò il romanzo di Pino Cacucci, lo stesso romanzo dal quale nel 1992 il già premio Oscar Gabriele Salavatores fu stregato, tanto da decidere di girarci un film. E così Puerto Escondido, con l’adattamento cinematografico di Salvatores, viene consacrato come luogo culto, meta finale dei pellegrinaggi di tanti occidentali che, alienati dalla frenesia della società dei consumi e in cerca del significato della vita, ritrovano sulla bianca spiaggia di Zicatela il senso della loro esistenza. Proprio come Claudio Conti, che a Puerto Escondido, quando Salvatores vi si recò per incontrarlo prima di iniziare a girare, ci viveva già da dieci anni.
All’epoca l’intraprendente veronese possedeva un solo locale «L’Hostaria da Claudio», che fu usato come base per girare la pellicola. Lo stesso Conti fornì spunti per la sceneggiatura e fu arruolato come comparsa.

Nella Puerto Escondido raccontata su pellicola un bancario milanese (Abatantuono) giunge in fuga dall’Italia: il borgo messicano è quanto di più diverso ci possa essere dal solido mondo del bancario, ma alla fine l’esperienza ha il suo effetto: il bancario capisce che nella vita ci sono altri valori oltre alle griffe e ai consumi. Quel lontano Puerto Escondido diventa la rigenerazione di una persona che pensava di essere felice, perché non conosceva la vera felicità.

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