Potremmo chiamarla «sindrome di Umberto Eco». Miete vittime soprattutto tra gli scrittori e gli intellettuali, si manifesta con una compulsione a dichiarare la propria volontà di fuga. I sintomi sono irresistibili e si manifestano in forma epidemica soprattutto in fase elettorale. Il grande cervellone colpito non può esimersi dal dire: «Se vince il tal presidente del consiglio (per lo più di centrodestra), il tal presidente della Regione (per lo più di centrodestra), il tal sindaco (per lo più di centrodestra) io lascio lItalia, la regione, la città. Vado in esilio o almeno mi straccio le vesti». E citare tutti i colpiti da questa epidemia sarebbe elencazione omerica, anche se i nomi più noti li ricordiamo tutti: Antonio Tabucchi, Vincenzo Consolo, Gianni Vattimo... Cera persino una giornalista dellUnità che voleva spararsi un colpo in testa in caso di vittoria di Berlusconi.
Ovviamente, a elezioni concluse, la maggior parte dei colpiti rinsavisce improvvisamente e, zitta zitta, resta a casa propria. Men che meno si spara. Tanto più che la minaccia più abituale, che si portava dietro un suo fascino resistenzial-culturale era: «vado in Francia». Adesso lì cè Sarkozy che con la sua presenza rovinerebbe il coup de théâtre. Niente di male, se ne dicono di cose in campagna elettorale... Ma dopo ci si accorge che la propria casetta vista Castello Sforzesco, o la villa, sono tanto comode e che i reading con aperitivo si fanno comunque. Insomma, ci si accorge che i presunti regimi erano buon argomento polemico, ma non abbastanza per costringersi davvero a un trasloco (tutti quei tomi da levare dalla libreria...). Certo, poi ci sono casi come quello di Roberto Saviano. Casi in cui lidea di andarsene è sofferenza, in cui la minaccia alla vita e alla libertà non è una chimera alimentata da qualche cascame ideologico. E poi ci sono quei pochissimi che se ne sono andati davvero, come Gianni Celati.
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