Due anni fa Aida, nella messa in scena di Franco Zeffirelli, con i meravigliosi bozzetti e i mirabili figurini di Lila De Nobili, fece crollare di applausi il Teatro Massimo di Palermo. La ripresa nel «più grande teatro dopera del mondo», la Scala, ha proceduto invece fra imbarazzo, sbadigli, tafferugli verbali e bordate di fischi finali.
La ragione? Non certo la supremazia qualitativa di Palermo rispetto a Milano, piuttosto la mancanza, diciamo così, di rapporto fra il direttore Omer Meir Wellber e gli esecutori che ci sono apparsi distolti dal percorso narrativo. Stesso discorso sul piano scenico, con movimenti singoli e di gruppo ai limiti dellapprossimazione. E luci quasi di servizio in uno spettacolo magico, dove queste sono (o dovrebbero essere) il fondamento. Il fatto doloroso è che avevamo di fronte le sperimentate «masse» scaligere che hanno sofferto lassenza di Franco Zeffirelli o di chi avrebbe dovuto rappresentarlo. Nella non felice serata, due i punti fermi: la preparazione musicale del coro, istruito da Bruno Casoni, e la festeggiata partecipazione del corpo di ballo che agiva con laderente coreografia di Vladimir Vassiliev.
Un comune denominatore univa i principali interpreti: lassenza di concertazione, donde tabula rasa nella dizione, nelle intenzioni, nelle pause. Non è bastata la fatal pietra con la conseguente asfissia per smorzare il canto sempre forte, quando non discutibile, di Oksana Dika (Aida) e Jorge de Leon (Radames). Marianne Cornetti (Amneris), sicura nel registro acuto, è apparsa a disagio nellaurea sede scaligera.
In conclusione di serata, soltanto due tiepide chiamate ed esplicite contestazioni al direttore Meir Wellber. Evento strano, giacché, ricordiamolo a noi e agli altri, si trattava pur sempre di Aida.
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