Gheddafi viene in Italia e lopposizione lo copre di fischi. Qualche tempo fa era lui a dirsi «fratello» di Romano Prodi e «amico» di Massimo DAlema. Succede. È come vedere la tua fidanzata storica che si bacia con il tuo rivale. Tutta questa polverosa indignazione che lopposizione di sinistra ha sollevato in questi giorni altro non è che gelosia. Muammar Gheddafi, fino al 2008, era praticamente «cosa loro». E oggi che il premier Silvio Berlusconi gli ha scalzati la sinistra sindigna.
Il rapporto tra Muammar e il Professore va avanti del 1996, allalba del suo primo tragicomico biennio da premier. Anche allora fu stretta di mano nel tendone, danaroso contratto con lEni firmato e ciao. «Voglio esprimere la mia gratitudine a mio fratello Romano», disse qualche anno dopo il Colonnello. Era il 27 aprile del 2004, per lui era la prima volta in Europa dopo ventanni. Tutto grazie a Prodi, che da presidente della Commissione europea gli aveva spalancato le porte di Bruxelles e si era speso, con successo, contro lembargo dellOnu alla Libia. «Oggi - rispose Prodi - è un grande giorno per lEuropa». In mezzo, in quegli otto anni, ci furono decine di incontri e telefonate riservate.
La sinistra italiana, dalla Bindi in giù, si spellava le mani dagli applausi per il grande lavoro dellex premier. «La stampa straniera - gongolò il fedelissimo di Prodi Giulio Santagata - aveva bollato lapertura di Prodi a Gheddafi come una iniziativa sconsiderata e incomprensibile, un passo falso. Oggi credo che qualcuno dovrebbe rendere merito alla lungimiranza di Prodi». Persino lallora ministro degli Esteri Lamberto Dini fu ricevuto due volte nella tenda. Lui, il Colonnello, era vestito con camicia e pantaloni verdi militari e un cappellino da ranger. E la prima domanda fu: «Come sta Prodi?». Finì, come sempre, che il titolare della Farnesina tornò in Italia con in tasca un altro accordo da 5,5 miliardi di dollari per la ricerca di gas naturale e un oleodotto da realizzare tra la società nazionale petrolifera libica e ovviamente lEni. A sinistra nulla da dire, allora.
E Massimo DAlema? Ah, DAlema, DAlema. Uno che andava sotto braccio a Hezbollah tra le macerie di Beirut figurarsi se si è mai imbarazzato di fronte al leader libico. I due si dicono «amici», e Baffino in passato non ha nascosto di aver fatto al Colonnello un sacco di moine. Quando si decise di far processare in Olanda da un tribunale scozzese i due libici accusati dellattentato contro il jumbo della Pan Am del 1998 (270 morti) a Lockerbie, fu un DAlema raggiante a chiamarlo nella tenda per complimentarsi. E nel 1999, prima di rotolare rovinosamente per la debacle alle Regionali, si precipitò a invocare una pietra tombale sul passato colonialismo italiano in Libia «per rafforzare la cooperazione tra Tripoli e lItalia» in chiave anti immigrazione e per portare un po di soldi libici in Italia. Insomma, quando si tratta di affari la sinistra tutti questi scrupoli sui diritti umani non se li è mai posti.
Della metamorfosi dalemiana al tempo si accorse persino il New York Times: «La visita di DAlema in Libia evidenzia una recente priorità della politica estera italiana: proiettarsi, in fretta e per prima, verso i paesi petroliferi del Nord Africa e del Medio Oriente. Sembra molto probabile - aggiunse il Nyt - che il Colonnello Muammar Gheddafi visiterà lItalia». «È presto», replicò Baffino a favore di telecamera mentre scendeva dal Falcon di ritorno dalla Libia con in braccio Anisa e Amira, le due bambine italiane figlie di Abubaker Sharif, un libico che le aveva avute da due donne di Pisa. Le bimbe erano bloccate in Libia dal 96 perché senza permesso despatrio. Il regalino del Colonnello non bastò a far restare DAlema a Palazzo Chigi, ma i due continuarono a sentirsi.
Nel 2006 scoppiarono le violenze a Bengasi dopo la maglietta con le vignette anti-Islam mostrate dal leghista Roberto Calderoli al Tg1. Gheddafi, saggiamente, disse che quellincidente non avrebbe compromesso i rapporti tra i due paesi. Parole apprezzate subito da un altro dei leader della sinistra di allora, Francesco Rutelli: «Un possibile governo di centrosinistra, guidato da Romano Prodi, sarà in grado di rendere credibili e concreti i progetti di cooperazione e di contribuire a chiudere ogni contenzioso e divergenza bilaterale». In effetti il Professore vinse per 20mila voti, Gheddafi lo chiamò per fargli gli auguri e Romano corse subito a incassare labbraccio del Colonnello. Era lotto settembre di quattro anni fa, sembra passato un secolo. Lui e Muammar a cena: menù a base di montone e altre specialità locali, il tutto innaffiato con thè alla menta, coca cola e birra analcolica, raccontano le cronache dei giornali. E quando lanno dopo scoppiò un piccolo giallo sulla sua salute, e si ipotizzò che il Colonnello fosse morto, chi sciolse lenigma? Prodi. «Mi ha chiamato Muammar, sta bene». Detto da uno che quando vuole (vedi seduta spiritica durante il rapimento Moro) coi morti ci parla davvero fa ridere, ma questa è unaltra storia.
Con Prodi premier DAlema si mise addosso la casacca della Farnesina. E il pensiero tornò a sette anni prima, al grande «gesto riparatore» solo sfiorato nel 99: la costruzione dellormai famosa autostrada costiera da sei miliardi di euro tra Egitto e Tunisia da appaltare alle aziende italiane in cambio del mea culpa sui tragica deportazione dei libici in Italia nel 1911-12. «È stata una pagina tragica e vergognosa», disse subito DAlema, con la mano tesa. Miele per le orecchie di Gheddafi. Il problema è che però quellaccordo lo firmò Berlusconi, il 30 agosto 2008, aprendo definitivamente la cassaforte libica alle imprese italiane. È allora che il Pd Marco Minniti sinfuriò. Con Gheddafi? No, con Silvio lingrato: «Fu il governo Prodi il primo a dialogare con Gheddafi. E il primo ministro europeo a fargli visita ufficiale nel 1999 fu DAlema». E pensare che dopo lo storico accordo lex premier Ds aveva bofonchiato ai suoi durante un comizio ad Alessandria, schiumando di rabbia: «Ci chiese un sacco di soldi e gli dissi di no, Berlusconi invece glieli ha dati subito. Tanto sono vostri». Era appena lanno scorso, e già allora il Colonnello era fuori moda.
felice.manti@ilgiornale.it
- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
- sabato, domenica e festivi dalle ore 10:00 alle ore 18:00.