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In un quartiere tranquillo di Roma il giallo si tinge di amarezza

Si dice che il libro giallo non esiste più, almeno come genere. La trama poliziesca è ormai vista come un’occasione, e non come labirinto enigmistico. Ma Luca Canali, insigne latinista, storico e scrittore prolifico, salta a piè pari le categorie e le contro-categorie: procedendo in avanti, non certo all’indietro. Crea personaggi di spessore, poi li collega grazie a una trama che solo apparentemente ricorda il poliziesco. Nella sua ultima opera c’è anche un commissario di polizia, ma è al suo essere che l’autore guarda, non tanto al suo ruolo e all’efficacia delle sue indagini. Canali dà staffilate tremende, e in gran bello stile, al nemico pubblico numero uno: l’imbecillità umana. In L’interdetto (Hacca, pagg. 206, euro 14) Canali tratta a latere il crimine e questo diventa una sorta di ombra.
Siamo in un quartiere romano, tranquillo e «chiuso in un beneducato egoismo», non in una «borgata grintosa e beffarda». Il commissario Strina se la deve vedere con la microcriminalità: gomme tagliate a una Bmw, lettere minatorie, attacchi di hacker ai computer, minacce epistolari. Strina ha una relazione con la psichiatra Gemma, dai sensi infuocati e, sul lavoro, dotata di un’energia «che poteva sembrare intimidatoria». Appare subito il prim’attore, il professor Nullian (non casuale la scelta del nome), ex docente universitario, scrittore di fama, eccentrico nella sua fastidiosa (per alcuni) abitudine di occuparsi di gatti e cani randagi. Nullian e il commissario s’erano conosciuti all’università. I nipoti dell’ex professore settantenne tentano la pratica dell’interdizione: troppi soldi ad associazioni animalistiche, il conto bancario sempre più magro. La psichiatra, che deve occuparsi dell’odiosa pratica, rimane affascinata dalla lucidità di Nullian che le offre una lezioncina sulla grossolanità del presente.
Ci si addentra, per la perizia e per il sospetto che sia lui l’autore dei dispetti di quartiere, nel terreno minatissimo dei suoi scritti che evidenziano la sua «cupa visione della società e del mondo». Ma che c’entra il pessimismo razionale d’un uomo con i familiari - corvi che gli rimproverano una libera scelta scambiandola per devianza? Nell’indagine sfilano, pure con passo comico, varie figure che viste da vicino danno pienamente ragione alla stizza filosofica del professore. C’è la giornalista culturale, seduta dietro uno scaffale di libri forse non interamente letti, che s’indigna del tradimento di «un importante uomo dell’editoria», colpevole di aver favorito una ventenne bestsellerista e mediocrissima. E questa, dinanzi al commissario, espone narcisisticamente, la scelta di mischiare lenzuola e carriera. L’opposto della giornalista, superficiale donna di mondo, ma sola e imprigionata nelle sue «comode e un po’ logore convinzioni»? No. Canali pare farle danzare come attrici interscambiabili sul palcoscenico della mediocrità.
Alla fine Nullian si dimostra l’unico a non essere chiuso nelle gabbie sociali. Al commissario impartisce la sua ultima lectio: «Lo sbaglio più grave è intervenire nell’esistenza e nei fatti altrui per modificarli, in meglio si crede. Ciò è solo presunzione pericolosa.

È meglio lasciar correre la vita... e semmai lasciarsi suggerire da essi come inserirsi traendo personale vantaggio, ma - questo è l’essenziale - senza arrecare danno agli altri». L’interdetto proprio non è lui, in questa raffinata storia.

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