Quattro amici e il sogno della vita: la Dakar fai da te

(...) Serve la Dakar. E allora che sia. Deciso. Ed ecco nascere come per magia il fai-da-te team: Fabrizio Dettoni, idraulico, 38 anni, sposato con Alessandra che ha abbassato gli occhi, ha detto «preferirei una settimana a Macugnaga, ma se proprio vuoi, fallo…»; Paolo Ciappessoni, dentista, 40 anni, single, che, pignolo, ha chiesto delle mascherine da chirurgo per coprire i filtri della sua moto; Andrea Bassani, 38 anni, single, l’infermiere che quelle mascherine ha procurato prima di spiegare a parenti e amici «mica sono matto a fare la Dakar»; infine, Antonio Trombia, 39 anni, che uguale concetto ha dovuto ripetere anche ai figli. Ci sono però vari altri modi per complicare, ingarbugliare, per rendere ancora più affascinante, vera, unica questa avventura che scatterà da Lisbona il 5 gennaio. E i quattro ragazzi non più ragazzi, tutti figli dell’operoso varesotto, li hanno scovati uno ad uno. Per esempio: fare la Dakar da soli, come non iscritti, cioè macinare giorno dopo giorno i novemila chilometri del raid, partendo quel tanto dopo il gruppo in gara e cercando di mantenere un’andatura spedita per poi arrivare a fine tappa prima della notte. A volte lo faranno costeggiando la speciale ufficiale, a volte infilandosi dentro il percorso dopo il passaggio dei concorrenti. Perché chi segue la Dakar, oltre ad essere sgradito al deserto - come tutti - è sgradito anche all’organizzazione. Motivo? Non ha acceso un mutuo per iscriversi. Per cui, paradossalmente, la corsa di questi ragazzi diventa ancor più avventura: perché al termine di ogni giornata non ci sarà nessuna assistenza ufficiale ad accoglierli, nessun parco chiuso pronto ad ospitarli e rifocillarli. Nulla di nulla. Potranno accamparsi poco fuori. Con le loro due moto e con il fuoristrada, i trecento litri di acqua, le provviste e quel qualcosa che si potrà comunque comprare dai locali lungo il tragitto. Per non farsi mancare proprio nulla, neppure un brivido, i quattro hanno deciso che una delle due moto doveva essere quella vecchia e fiera Yamaha Super Tenerè di diciannove anni fa. «Tutta originale» s’affretta a sottolineare con fierezza Paolo, il proprietario, «Volevamo metterla alla prova» aggiunge. Del fai-da-te team fanno parte anche una Ktm 690 Sm nuova di pacca, quasi a far da contraltare alla vetusta «collega». C’è poi un fuoristrada Toyota usato e modificato per diventare tenda, riparo, officina, minimarket, insomma, provvisto di tutto quel che serve e servirà per sopravvivere. Non solo: ci saranno telecamere (alcune montate sui caschi) e fotocamere per raccontare e documentare tutta la storia. Non solo. Sul tetto è stato preparato dalla Uflex un sistema a pannelli solari per ricaricare le diverse batterie poste sul mezzo. «Sì, alcuni piccoli sponsor ci hanno aiutato fornendoci dei materiali – spiega Fabrizio –. Chi, come la Motoairbag, dandoci i giubbotti air bag da indossare e mettere alla prova, mi auguro il meno possibile, e chi con le gomme di scorta». I costi dell’impresa non sono proibitivi: per gli spostamenti fino a Lisbona e poi verso l’Africa e ritorno circa 2500 euro a persona. Per preparare le moto almeno 1500 euro a mezzo, 6000 per il fuoristrada, oltre a una cassa comune di 2500 euro a testa per le varie spese ed emergenze.
«Perché lo facciamo? Per la passione che abbiamo per le moto, per il fuoristrada, io lo pratico da una vita – spiega Fabrizio – e perché se ci mettiamo ad attraversare la via del sale chi se lo ricorda più, non è mica la Dakar. È il fascino di questa corsa. La paura? C’è, fa a metà con il desiderio e il fuoco che abbiamo dentro. Quando l’ho detto a mia moglie si è spaventata… ha paura che non torni intero… aspetti un attimo che faccio toccaferro… Però mi conosce, sa che è il mio sogno.

Adesso l’obiettivo è arrivare fino in fondo e stappare lo spumante che ci porteremo sulla spiaggia di Dakar…». Ci pensa un attimo: «Anzi no. Meglio non portarlo sennò ci fermano prima e addio avventura. Sono mussulmani, guai con l’alcol…».

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