Quei 15 anni di processi-show finiti nel nulla

MilanoReati a grappolo. Connessioni planetarie. Un contorno massonico che di questi tempi non si nega a nessuno. È la moda irresistibile delle roboanti inchieste di questi ultimi anni, rotolate sull’opinione pubblica nella stagione post Mani pulite. Indagini altisonanti, con l’immancabile coinvolgimento di vip e un libro intero di intercettazioni telefoniche. Si sono moltiplicate dopo il Duemila e spesso portano alla ribalta Procure periferiche: la Catanzaro di Luigi De Magistris, la Potenza di Henry John Woodcock e poi, giù giù, quell’immancabile cratere dei misteri e delle dietrologie che è Palermo, dove da anni appare e scompare quel procedimento sul Terzo livello chiamato Sistemi criminali, all’incrocio, supportato da qualche chilo di libri e saggi, fra le bombe dei Corleonesi e i primi vagiti di Forza Italia. A Palermo i dibattimenti senza fine, gestiti da uno squadrone di Pm cresciuto alla scuola di Giancarlo Caselli, si ribaltano spesso in viscide assoluzioni che poi tutti, Pm e imputati, tirano da una parte e dall’altra. Di fatto, la montagna dei processoni politici, cominciata nel ’93, ha generato assoluzioni a raffica: Andreotti, Carnevale e da ultimo Mannino.
Si fatica, correndo da una parte all’altra d’Italia, a trovare condanne. Quelle definitive sono merce rara. In compenso si scorgono con facilità inchieste permanenti o semipermanenti che si ammalano di bulimia, si dividono in filoni e sottofiloni, poi esplodono in una sorta di big bang giudiziario, e vengono smembrate. Pensiamo a Vallettopoli: una parata senza fine di star e starlette, sempre a Potenza, sempre utilizzando intercettazioni su intercettazioni apparentemente schiaccianti. Poi, inevitabilmente, l’inchiesta ha toccato terra e perso pezzi. Ricordate Vittorio Emanuele? A Como, la sua posizione è stata archiviata. A Potenza, no. Però il carico delle accuse è ridimensionato.
A Milano, il processo Vallettopoli è quasi immobile, nel mare stagnante delle dichiarazioni smorza gossip di tante illustri vittime che vittime di Fabrizio Corona dicono di non essere state: da Michelle Hunziker a Simona Ventura. È sempre così: Mani pulite andò lontano partendo da una bustarella, per di più buttata in un Wc. Oggi, i Pm iniziano spesso con solenni dichiarazioni di guerra.
Per esempio, Henry John Woodcock. Ogni volta alza il sipario su scenari da brivido. Il problema è trasformarli in prove. L’anno scorso, all’ultimo giro, ha chiesto addirittura a tutte le 103 prefetture italiane gli elenchi delle logge con i nominativi degli iscritti. Il gran maestro Gustavo Raffi l’ha presa male: «Se Woodcock mi chiede alcuni nomi nessun problema. Se però pretende l’elenco dei nostri 18.500 iscritti allora sono di altro parere».
Di certo, c’è ormai un appariscente ed evanescente filone investigativo che punta sulla massoneria più o meno deviata, così come qualche anno fa si virava sui servizi deviati per snidare i burattinai del terrorismo: c’è stata ad Aosta Phoney Money, letteralmente evaporata, poi la megainchiesta di Palmi condotta da Agostino Cordova e finita pure in nulla, ora c’è Woodcock. Sempre Woodcock nel 2003 iscrive in un colpo solo nel registro degli indagati ben settantasei persone dopo aver scavato sulle tangenti in val d’Agri e sugli affari illeciti collegati all’Eni. Nel «libro dei cattivi» finisce un pezzo dell’Italia che luccica: dall’ex leader della Cisl Sergio D’Antoni, alla giornalista Anna La Rosa. Non manca l’Italia in bandana di Flavio Briatore e c’è spazio pure per Toni Renis che non si scompone: «Mi avevano avvisato: vedrai che prima o poi ti sospetteranno anche per Cogne».
Oggi, a rubare la scena è De Magistris. I risultati del suo lavoro sono controversi, ma certo anche lui disegna una trama da fiction che passa per la Compagnia delle opere, per l’ex Guardasigilli Clemente Mastella, per le logge. E dove non arriva lui, si spingono i Pm di Salerno che ipotizzano un complotto senza confini, anche dentro il Csm, per fermare De Magistris.
A Milano, con l’affaire Telecom, i Pm, da Fabio Napoleone a Stefano Civardi, sono stati più prudenti. Mai un passo più lungo della gamba.

I giornali, abituati a ben altri standard, hanno evocato i grandi nomi: per mesi Marco Tronchetti Provera è stato un indagato virtuale, senza mai esserlo nei fatti; per mesi si è parlato di intercettazioni abusive ed è stata varata in fretta e furia persino una legge sul tema, salvo scoprire poi che di abusivo c’erano solo i tabulati. L’inchiesta di Milano è arrivata però alla fine. Di altre, partite fra squilli di tromba, si trova traccia solo sulle prime pagine dei giornali.

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