Quei banchieri in fila al seggio per scegliere il candidato premier

da Milano

Indovina, indovinello. Cosa ci fanno i tre banchieri più potenti d’Italia, in fila per più di un’ora, nelle loro rispettive città in una bella domenica mattina di autunno? Outing. Va di moda, perbacco. Si dichiarano: urlano pubblicamente ciò che tutti sanno. Alessandro Profumo, il banchiere mito della managerialità che ha portato Unicredito alla conquista della Germania, Corrado Passera, l’uomo che ha messo in riga financo i postini e ora si occupa di raddrizzare Banca Intesa, e persino quel sano liberale e zanoniano di Enrico Salza, che guida il San Paolo di Torino e ha costruito una squadra di manager di prima qualità (a proposito il suo direttore generale Pietro Modiano era anche egli in coda). Tutti e tre in fila per le primarie dell’Unione. Se chiedete conto della fila agli uffici di Pierluigi Fabrizi, numero uno del senese Monte dei Paschi, praticamente un condominio della politica senese e rossa, loro invece rispondono: «Si tratta di cose private». Insomma c’è chi l’outing lo deve fare, e c’è chi invece dell’outing non ha certo bisogno, come i signori che a Rocca Salimbeni comandano.
Se si mettono in fila, Unicredito, San Paolo, Intesa (dove il presidente Gianni Bazoli non ha certo bisogno di ribadire la sua vicinanza a Romano Prodi), la Bnl di Abete (anche lui in outing) e per diritto secolare il Monte dei Paschi, qualcuno, esagerando, potrebbe gridare all’«occupazione rossa della finanza». Lasciamola perdere per un attimo, l’occupazione. Liquidiamo la vicenda politica più banalmente: se c’è un potere forte che non è berlusconiano, anzi che cerca l’alternativa più valida all’attuale governo, è proprio quello dei banchieri. Ma l’apprezzabile passione civile dei vertici del nostro sistema bancario fa un po’ a pugni con la sua tradizione: di parruccona e se si vuole leggermente ipocrita astensione da qualsiasi giudizio partitico.
Certo si potrebbe giocare sulla lunga filiera che parte dalle banche, passa per le indebitate società di cui sono azioniste (Telecom, Fiat, Parmalat, ma la lista è lunghissima) e finisce nei giornali che queste direttamente e indirettamente controllano, per smarcare Berlusconi e i suoi soci dalla intemerata accusa di aver creato un regime. Ma il punto ci sembra più delicato e sofisticato. Sarebbe come cadere in quel tragico equivoco in cui cadeva un parlamentare di Forza Italia, che leggeva dietro al fallimento dell’Opa bancarie di Fiorani un complotto giudaico-massonico. I sistemi finanziari sono più complessi e i vertici delle istituzioni finanziarie non spingono un bottone per decidere il nostro futuro. I processi sono complessi e il dio profitto da quelle parti là regna. Insomma se un complotto c’è, deve rendere un po’ di quattrini.
Le file di Passera, Profumo, Salza, Modiano, Abete e tanti altri per decidere se il candidato migliore per scalzare Berlusconi sia Prodi, Bertinotti o Mastella, sono l’outing finale.

Quella sana sfida a viso scoperto di una classe dirigente che ha fatto un passo preciso, ha i mezzi e le conoscenze per farsi valere e nell’imminenza di quella che si aspettano possa essere una vittoria alza il proprio vessillo. Va bene. Ora è tutto più chiaro.

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