Il percorso intrapreso dai promotori della scuola araba di via Ventura e dai genitori che vi hanno portato i loro figli non sembra proprio avere come sbocco finale lintegrazione fra gli alunni musulmani e i milanesi in mezzo ai quali vivono. A dispetto del conclamato bilinguismo e della presenza di docenti italiani pare, piuttosto, che voglia essere una scuola di separatezza, nata soprattutto da una profonda sfiducia (o avversione o disprezzo) per la nostra istruzione pubblica e anche da un desiderio di rivincita, dopo la chiusura della prima scuola araba di via Quaranta.
La volontà di non procedere dintesa con le autorità italiane è indicativa: la scuola è stata aperta senza la prevista autorizzazione, con un blitz, un fatto compiuto, chiamatelo come volete, comunque con un gesto di sfida aperta. E questo non aiuterà a placare chi contesta lidea di una scuola araba temendo che diventi cosa altra e diversa da una fucina di moderazione e di reciproco rispetto; chi oggi protesta si rafforzerà nellidea che chiunque arrivi in questo benedetto Paese possa accampare sempre e soltanto diritti, da subito, senza avvertire alcun dovere, a cominciare da un elementare rispetto della legalità e delle disposizioni che regolano ogni attività. La scuola araba di via Ventura non può considerarsi una qualsiasi scuola privata o parificata, anche perché è nata su impulso delle autorità consolari di un altro Paese, ma senza alcun accordo intergovernativo.
Milano e le sue autorità comunali e scolastiche hanno dimostrato di voler accogliere e rispettare la diversità culturale: quando è stata chiusa la scuola di via Quaranta in diverse scuole pubbliche sono stati introdotti i corsi di arabo. Ebbene, in previsione dellapertura della nuova scuola, parecchi genitori hanno ritirato i figli dagli istituti pubblici milanesi.
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