Quei cinquanta impuniti a piede libero

Q uei grandi acrobati dell’Uci si stanno lanciando in una nuova, arditissima evoluzione. Se sia numero d’alta scuola, o soltanto bluff da poveri saltimbanchi, lo dirà il futuro molto prossimo. Come dice bene il manager del team tedesco Gerolsteiner, sono comunque «le mosse disperate di uno sport disperato».
Certo: toccare i dopati sui soldi, trattenendo loro un anno di stipendio, è decisamente linguaggio che comprendono al volo. Volendo fare le cose per bene, fino in fondo, sarebbe ora che le squadre e gli organizzatori delle gare li citassero anche per danni, quando con le loro simpatiche truffe mandano al macero investimenti, immagine, fior di manifestazioni.
Ma non bisogna pretendere troppo, dalla vita. Al momento, bisogna accontentarsi di quel che faticosamente, tra mille mediazioni e mille limature, passa il convento. Da qui in poi, ogni corridore del grande circo dichiarerà solennemente, nero su bianco, d’essere estraneo a storie di doping. Autocertificazione. E chi non firma questa dichiarazione di illibatezza, sta fuori. Diciamolo: non è malissimo, a livello propagandistico, come idea. Però lo capiscono tutti, dove sta il primo tallone d’Achille: in questo mondo di bugiardi, che all’articolo uno della sua costituzione non scritta reca la dicitura «il ciclismo è una repubblica fondata sulla bugia», saranno tante le sottoscrizioni false. Abituati a rischiare con trasfusioni e siringhe, a certi corridori sembrerà una sgambatina firmare un documento in cui dichiarano d’essere estranei a qualunque storia di doping. Possono essere smascherati? Certo, come no: il rischio fa parte del gioco. Come la siringa. Alla peggio, due anni di squalifica. Finché non si arriva alla radiazione, doparsi resterà sempre e comunque un buon affare. Meno rischioso che giocare in Borsa.
Detto questo, c’è poi il buco nero più sinistro: la famosa, fatidica, epocale «Opercion Puerto». Su questo tasto, l’Uci appare in totale confusione. C’è l’invito alle squadre perché lascino a casa dal Tour i corridori coinvolti nell’inchiesta spagnola. Sai la forza coercitiva, dell’invito: finora, le squadre - soprattutto spagnole - si sono bellamente infischiate dei sospetti, portando tranquillamente alle gare i sospettati.
Non se ne esce: le ultime acrobazie franano al suolo proprio sull’«Operacion Puerto». Il presidente dell’Uci dice che finora ha sottomano solo mille delle seimila pagine di quest’inchiesta spagnola. Un anno per avere mille pagine. Avanti con questi ritmi, ci vorranno sei anni per averle tutte. E magari altri sei per leggerle. Vai a sapere: forse, magari, chissà, fra dodici sapremo.
Peccato che già ora, in attesa della seconda tranche di nomi, si sappia abbastanza. Che 58 corridori erano clienti assidui del satanico ginecologo maschile Eufemiano Fuentes. Eppure, sino ad ora, stanno pagando soltanto lo smascherato (a mezzo Dna) Ullrich e i confessi Basso-Scarponi.

E l’altra cinquantina di simpatici clienti? Che ne vogliamo fare? A questa domanda, semplicemente, dovrebbe una volta per tutte rispondere l’Uci. Invece, da mesi, tra mille acrobazie, l’evoluzione più acrobatica di tutte è evitare la risposta.

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