Quei corpi macellati per dissacrare il mito della bellezza

nostro inviato a Venezia

Con la proiezione nella selezione ufficiale di Venus noire del tunisino Abdellatif Kechiche ieri il cinema necrofilo, che in questi giorni ha già attraversato la programmazione della Mostra, ha aggiunto un altro, scioccante capitolo. La risposta è tutt’altro che facile ma, anche se l’argomento non è dei più allegri ed è quindi comprensibilmente rimosso, vien da chiedersi come mai in questa 67ma edizione della kermesse lagunare alcuni dei protagonisti delle opere in gara siano impresari di pompe funebri, medici dell’obitorio, scienziati anatomisti. Come se il cinema radicalizzasse una tendenza televisiva iniziata con Six feet under da una parte e Csi dall’altra.
Quella narrata dal regista di Cous Cous (Gran premio della Giuria nel 2007), è la storia vera di Saartjie Baartman (Yahima Torrès), la cosiddetta «venere ottentotta» che all’inizio dell’Ottocento, con il miraggio di un futuro dorato, lasciò il Sud Africa con il suo padrone per andare a offrire il suo corpo in pasto al pubblico londinese e parigino, trattata come un fenomeno da baraccone e una schiava sessuale. Indugiando sull’abbruttimento psicologico e allungando a dismisura (tre interminabili ore di film) le umilianti esibizioni della donna nera, il regista arabo sembra volerla far pagare ai maschi europei. Ma, espiazione dello spettatore a parte, la vera curiosità degli anatomisti francesi dell’epoca è conoscere le caratteristiche della vagina di Saartjie. Curiosità che loro, non i frequentatori del bordello dove contrarrà la sifilide che la porterà a morire, potranno soddisfare solo una volta che il suo corpo sarà disteso su un tavolo per la vivisezione e la misurazione degli organi.
Altro tipo di autopsie e di referti sono invece quelli che compie e stila il protagonista di Post mortem, la pellicola del cileno Pablo Larrain e, secondo radio-Mostra, candidata a qualche riconoscimento. All’obitorio di Santiago, nel pieno del golpe cileno, i cadaveri vengono rovesciati uno sopra l’altro su carrelli senza sponde da dove qualcuno scivola a terra. È a Mario (Alfredo Castro) che tocca issarli nuovamente sopra gli altri nel tragitto per trasferirli da un reparto all’altro dell'ospedale. Finché un giorno, davanti al battaglione con il mitra spianato, tocca anche stilare il referto di Salvador Allende. «Il proiettile entrato dalla bocca ha fatto esplodere la lingua, una piccola parte della quale si è conficcata…». I dettagli non vengono risparmiati quasi a dimostrare che, senza alcuna pietas, il territorio post mortem è ostaggio dei poteri della scienza e della medicina, ma anche delle dittature e delle burocrazie giudiziarie. Indugiando sull’ultimo confine dell’esistenza è come se il cinema di questi autori volesse descrivere una civiltà defunta e corrotta. E rompere l’ultimo tabù, contestando il mito dell’eterna giovinezza, il culto del corpo, la bellezza obbligata e affannosamente inseguita con la ricerca farmaceutica, chirurgia estetica, l’integralismo salutista. In una versione meno cruda, il tema del destino di corpi e anime dopo la fine ricorre in parecchie altre opere, dove però c’è sempre una persona cara a occuparsi del defunto. Nel greco Attenberg della Tsangari, una figlia si prende cura della salma del padre che ha chiesto di essere cremato. Ma siccome la legge non lo consente, contatta un’agenzia che l’aiuterà a compiere il rito in Germania. Prima di tornare con l'urna nella sua città d’origine e spargere la polvere nel mare. Nell’estenuante Promises written in water, di e con Vincent Gallo, si torna negli obitori e si vedono ricomporre i cadaveri che il protagonista fotografa. «Quando non ci sarò più dovrai prenderti cura di me», gli ha chiesto la sua compagna e lui ha trovato lavoro in un’impresa di pompe funebri. Infine, c’è Silent souls del russo Fedorchenko, altro film in odore di premio.

In una regione della Russia occidentale alla morte della moglie, Miron chiede al suo migliore amico di aiutarlo a dirle addio secondo i rituali della sua cultura, immergendo la salma nelle acque di un lago sacro. Qui, però, la dimensione spirituale prende il sopravvento, conferendo al racconto un respiro più sentimentale e poetico.

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