Celso Vallarino
Appena finito di rileggere i libri di Walter Bonatti Le mie montagne e Il Gran Cervino, i ricordi mi vanno ai 18 mesi di naia alpina dove ebbi lopportunità di scalare decine di vette. Dopo aver fatto il corso di roccia con attenzione e la massima precauzione con il tenente istruttore cominciammo le prime confidenze con le pareti e i ghiacciai. Ricordo che partimmo da Mondovì verso lAlto Adige perché i terroristi comandati da Klotz avevano fatto saltare con la dinamite tralicci e condotte forzate. Così cera paura per le dighe. Con i mezzi ci lasciarono allinizio del Passo Gavia (Valtellina) con le armi e zaino in spalla, 27 chili di peso. Dopo 4 ore di marcia giungemmo in cima al Passo (2620 metri). Dopo 3 giorni cominciammo la scalata al Cevedale, altro 3776 metri nel gruppo della Alpi Retiche (estate 1961). Giungemmo con il tenente Sperindé alla Capanna Casati, 3300 metri, dove passammo la notte con un cielo meravigliosamente stellato. Al mattino dopo il caffelatte alle ore 7, zaini in spalla e relative armi, e tenente in testa. Iniziammo lavvicinamento al Cevedale. La giornata era magnifica, il sole splendeva come non mai, i ghiacciai scintillavano come specchi! Per noi giovani alpini nel pieno della nostra energia ringraziammo il Creatore per i silenzi e i superbi e indimenticabili panorama mozzafiato! Tre ore di scalata sui ghiacciai ed eccoci sulla cima del Cevedale, il nostro primo quasi 4000 metri. Discesi dal Cevedale ci incamminammo per la Val Venosta dove da Merano, tutto a piedi (zaino 27 chili), risalimmo tutta la valle sino al passo Resia, dove dal lago ci assegnarono alla guardia della diga, ai tralicci e alle condotte forzate.
Una sera tardi mi trovavo di sentinella sulla diga, mi si avvicinò un giovane tenente che non conoscevo, spianai il Garand intimando il chi va là chiedendo la parola dordine ma... non la sapeva! Così dovette ritornare sui suoi passi mugugnando. Nella Val Venosta rimanemmo 40 giorni sino a che non fu arrestato Klotz. Indi ritornammo a Mondovì e Ceva dove fui congedato. Ripreso il lavoro appena mi capitavano giorni liberi mi riavvicinai alle montagne: Argentera 3300 m. (la vetta più alta delle Alpi Marittime), Monviso 3841 (il più alto delle Cozie), Gran Paradiso 4061 metri (la vetta più alta delle Alpi Graie, un 4000 tutto interamente italiano), Piramide Vincent 4200 metri/Alpi Pennine), Punta Gnifetti 4555 dove cè la Capanna Margherita (Rifugio più alto dEuropa). In una officina della Culmv mi fecero una bellissima targa di bronzo in ricordo dei portuali di Genova ma... non mi permisero di attaccarla nei pressi del Rifugio, così una guida svizzera presente nella Capanna mi diede il permesso di metterla sulla cima dello Zumstein 4562 metri (terza vetta del Gruppo Rosa). Appena cementata sulla cima con uno spettacolare anfiteatro di ghiacci, riuscii a scattare due meravigliose foto, e i compagni portuali prontamente mi dissero che era un... fotomontaggio!
Caro Lussana, mi rimase negli occhi la maestosa cuspide del Cervino, scalata dallinglese Whymper il 14 luglio 1865 dove allinizio della discesa si spezzò la corda e quattro della cordata precipitarono sulla parete Nord per 1500 metri, Whymper rimase con due guide. Nel mentre apparve lo «Spettro di Brocken» impressionando assai i compagni, e linglese spiegò loro che non è altro che un fenomeno atmosferico che capita ad un alpinista su mille. Molti anni fa salii il Cervino con un amico, salendo dalla Cresta del Leone (via italiana). Dopo aver dormito al rifugio Carrel giungemmo in vetta alle 12 con sole splendido, ma a 4778 metri laria si fece gelida tanto che la «Scala Jordan» (Biscaglina) appesa alla testa del Cervino era coperta di ghiaccio con stalattiti appese sotto gli scalini di legno. In cima al Cervino ci sono due piccole vette dove una è dai 3 ai 4 metri più alta di quella italiana rimanendo in territorio elvetico; perciò il Cervino per pochi metri è svizzero. Al centro delle due vette cè la croce alta circa due metri piegata leggermente verso sud. Terribili sono i venti di tramontana e maestrale dove a volte sulla vetta toccano i 120/150 km orari! Sulla vetta eravamo a 5 sottozero eppure eravamo in piena estate... con la macchina fotografica presi una foto al mio compagno appoggiato alla croce, ma quando venne il mio turno - stavo calzando i ramponi per la via Svizzera - sentii gridare il mio amico: «Ehi Celso, guarda un po cosa succede?».
Nelle giornate estive quando la solita nuvoletta sale da Sud-Est del Cervino (soprattutto al pomeriggio) lalpinista che ha le spalle al sole, viene proiettato entro un alone di cerchi concentrici con i colori dellarcobaleno. Il fenomeno dura pochi secondi. Il mio compagno come le guide di Whymper rimase impressionato tanto che per rassicurarlo gli feci vedere che la sagoma che si muoveva nello spettro di Brocken ero io! Vidi il mio compagno stralunato e come iniziammo le corde fisse della via Svizzera (versante di Zermatt), come vide il vuoto cominciò a tremare... Dovetti sgridarlo come un bambino perché era esitante a scendere. Col passo insicuro prese una distorsione a un piede. Così piano, piano attaccato alla mia corda, giungemmo alla Capanna Solvay che erano le otto di sera... 6 ore per scendere alla Capanna che è a 4006 metri. Dentro il rifugio cera il radio soccorso collegato con il soccorso alpino svizzero. Alla risposta di Zermatt spiegai del mio compagno infortunato e rimanemmo daccordo che alle sette di mattina salivano con lelicottero. Allora con il fornellino da campeggio, sciolta la neve, facemmo una minestrina calda. In quel momento sentii delle voci (erano le nove), mi affacciai dal rifugio e vidi tre alpinisti che stavano scendendo sulla Est del Cervino dove al di sotto cè un ghiacciaio pensile e gridai: «Ma dove andate?». I tre si fermarono, io scesi per avvicinarmi notandoli per tre tedeschi; mi presentai come ex alpino di Genova e il mio amico romano. Uno disse: «Sono un maresciallo della polizia di Bonn; dei miei commilitoni uno è brigadiere e laltro appuntato». «Ma come mai scendete sulla Est? Non sapete che è pericolosissimo considerando che cala la notte? Eppoi la via segue tuta la cresta dellHornli». I poliziotti di Bonn mi risposero che anni prima erano saliti con una guida svizzera, così salendo da soli al crepuscolo stavano sbagliando la discesa.
«Senta Maresciallo, vuole un consiglio? Dormite con noi al rifugio e allalba, dopo il mio caffè e biscotti riprendete la discesa. Che ne dite?». Così rifeci unaltra minestrina calda con aggiunta di cioccolato e formaggio. Feci un buon caffè, era notte completa, il cielo era costellato di milioni di luccicanti stelle, a 4006 metri di altitudine alle 10 di sera si congelava. Ci coricammo con quattro coperte. Alle cinque feci il caffè ai tedeschi, indi ci lasciammo con un arrivederci. Alle sette e venti arrivò lelicottero da Zermatt, con il gabbiotto issarono il mio compagno. Non scalai e scesi mai più il Cervino, eppure i preziosi insegnamenti al corso di roccia mi garantirono lincolumità. Ero sceso circa 300 metri di dislivello quando sentii cadere delle pietre, una cadde a mezzo metro da me e lasciò un forte odore di zolfo. Giunsi al rifugio Hornli, 3260 metri, che erano le dieci e mezzo. Entrai dentro per bere un the caldo, il custode ex guida mi disse: «Lei è il genovese?». «Sì, risposi».
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