Quei giovani in lotta contro la vita da reality

di Stefano Zecchi
Come mai un film come The Hunger Games, la storia di un reality in cui gli adolescenti si ammazzano tra loro in favore di camera, è destinato a diventare, oltre a un successo al botteghino, un fenomeno di costume? Per trovare una risposta, non dobbiamo sottovalutare il modello di comunicazione che si è imposto negli ultimi dieci anni. Il Grande fratello e trasmissioni affini hanno coinvolto un ampio pubblico, attratto dall’osservazione di comportamenti percepiti come reali e non come finzioni. La realtà ha finito per entrare sempre più disinvoltamente nelle nostre case attraverso la tv, considerata la scena della realtà e non più un mezzo che ci racconta qualcosa. Un tempo questo meccanismo incuriosiva lo spettatore che si sentiva all’interno di una situazione percettiva nuova. Ma l’abitudine annoia. Dopo un po’ si è dovuta alzare l’asticella di ciò che accade dietro il buco della serratura per continuare a intrigare gli spettatori. Alzando l’asticella, si è abbassato il controllo di tipo morale e pedagogico. Ciò che attrae è il male non le virtù, sono le trasgressioni non il rispetto del codice morale. E questa diventa la strada da percorrere per non lasciar cadere l’attenzione del pubblico. Le giustificazioni per accettare il nuovo livello di trasgressione necessarie per provocare curiosità, morbosità, fantasie degli spettatori, è semplice: non si assiste a uno spettacolo inventato e costruito da autori, ma a un accadimento della realtà. Ciò che si vede, bello o brutto, è la realtà. Inutile censurarlo. Ma non è forse questa l’idea su cui si basano anche molte trasmissioni pomeridiane in cui la cronaca più tragica diventa reality? Forse i giovani, i maggiori consumatori di The Hunger Games, sono affascinati dal film perché nella storia vedono la possibilità di spezzare questo meccanismo perverso che esalta i media che vivono di violenza e reality, riducendo la vita a uno show. Due ragazzi decidono di non sottostare alle regole ciniche del gioco. E tutto cambia. Al di là del caso specifico, la sintesi di tutto ciò è la latitanza del giudizio morale che dovrebbe orientare la società. Con l’alibi della realtà e con la comoda rinuncia a esprimere una valutazione dei fatti, si rimane indifesi di fronte allo sviluppo delle peggiori abiezioni. Non viene in mente che si potrebbe correggere una realtà indecente e non mostrarla come un destino immodificabile.

In The Hunger Games si utilizza l’antico espediente del deus ex machina che risolve le situazioni più complesse e inaccettabili. C’è dunque ancora un barlume di moralità nel valutare gli eventi, ma c’è anche da chiedersi fino a quando ci sarà.

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