Cultura e Spettacoli

Quei meravigliosi Anni Ottanta Un decennio di occasioni perdute

Di plastica o di spirito? Comunque la si giudichi fu un'epoca spartiacque. Dalla politica al costume, dalla moda agli stili di vita. Televisioni private e riformismo craxiano iniziarono a cambiare l’Italia. Ma alla fine vinse la "reazione". Leggi il dizionario degli Anni Ottanta. Roberto D'Agostino: "Uscimmo dal tunnel della nostra guerra civile" 

Quei meravigliosi Anni Ottanta 
Un decennio di occasioni perdute

Marco Gervasoni

Nella storia del Novecento pochi momenti sono stati caratterizzati da uno «spirito» così forte come gli anni Ottanta. Di questo sono convinti anche gli storici che li hanno studiati. E che in gran maggioranza li considerano anni di caduta delle tensioni ideali, di corruzione, di rinserrarsi nel proprio io. Il crollo della prima Repubblica, nel 1992, che sigla la vera fine del decennio, starebbe lì a dimostrare la verità su quei tempi. Ma quasi tutti gli storici hanno finora letto quel periodo con le stesse lenti che impedirono al comunismo berlingueriano e ai suoi epigoni di comprenderlo.
È venuto perciò il momento di interpretare in maniera diversa quell’epoca e di rubare a un altro decennio, in realtà assai cupo e violento, la definizione di «anni formidabili». (Leggi il dizionario degli Anni Ottanta).

Lo spirito degli anni Ottanta si può concentrare in alcune parole d’ordine: libertà individuale, allontanamento dalle rigide ideologie politiche, ricerca della soddisfazione personale attraverso la realizzazione professionale e anche attraverso il guadagno individuale. Una sorta di collettivo «arricchitevi» non solo in senso finanziario, ma anche e forse soprattutto rivolto a acquisire nuove esperienze, intraprendere nuovi percorsi, intravedere nuovi orizzonti.

Si affermò pienamente una società degli individui per dirla con il sociologo tedesco Norbert Elias o, se si vuole, con Karl Popper, la società si aprì. Questo vale soprattutto per l’Italia, ma non solo. Anche negli Usa patria dell’individualismo, alcuni romanzi (vere spie dell’immaginario del tempo) come Le mille luci di New York di Jay McInerney, Il falò delle Vanità di Tom Wolfe e American Psycho di Brett Easton Ellis, mostrano un’America in cui la proposta reaganiana era diventata cultura diffusa e comune, anche in chi non si riconosceva nell’etica pubblica del presidente repubblicano. Una società nuova non priva di ombre, ovviamente, a cominciare dall’Aids, diffusa nella New York al centro dei tre romanzi.
In Italia il vento degli anni Ottanta soffiò con maggior forza che altrove, anche se non abbiamo avuto né un Reagan né una Thatcher.

L’affermarsi dell’individualismo e dell’imperativo «arricchitevi» si diffuse per la prima volta in forme di massa, in un paese in cui le subculture cattolica e quella comunista, politicamente ma anche intellettualmente dominanti, consideravano l’arricchimento da guadagno un peccato da espiare. Era talmente prevalente questa concezione che la cultura alta non riuscì a rappresentare lo spirito degli anni Ottanta con la stessa forza dei romanzieri americani. Il romanzo italiano, a parte Pier Vittorio Tondelli, che comunque viveva la condizione di “autore anni Ottanta” in maniera infelice, parlava assai poco di quella decade se non per considerarla spiritualmente povera, meschina, infelice.

Certo evitare quegli anni non significa smettere di rappresentarli, come dimostrano i primi due romanzi di Eco (Il nome della Rosa e Il pendolo di Foucault) quasi un catalogo del “pensiero anni Ottanta”: ironia, sfiducia nei confronti delle ideologie, derisione del fanatismo, rapporto giocoso e citazionista con il passato. Nel cinema i film di Fellini, La nave va e soprattutto Ginger e Fred, leggono in maniera metaforica il mutamento e lo individuano. Per lo storico, però, alla fine, i film dei fratelli Vanzina sono assai più utili come documenti, così come quelli di Risi e di Monicelli lo sono per studiare gli anni del boom.
Che cosa era avvenuto di tanto rilevante? Per la prima volta l’Italia era entrata nell’era del consumo di massa. A dare forma a questo passaggio, culturale prima ancora che economico, furono le televisioni private, al tempo stesso all’origine di questa esplosione dei consumi. Con la pubblicità, le televisioni private fecero accedere al grande mercato (cioè alla conoscenza dei consumatori) imprese che poterono così espandersi e diversificarsi. Le televisioni private si spinsero però molto più in la: costruirono il nuovo senso comune, la nuova cultura diffusa. Quando Nanni Moretti fa dire, a uno dei personaggi dell’omonimo film, che il Caimano aveva vinto già da tempo perché aveva cambiato gli italiani grazie alle televisioni dice una verità su quegli anni (senza per forza condividere il giudizio di valore negativo del personaggio morettiano).

Di fronte a questa grande trasformazione la politica fu spiazzata. A un primo sguardo, un decennio così carico di glamour e di icone pop, mostra una politica stanca, rinchiusa in vecchi riti, incapace di diventare più moderna. Anche questo però è un luogo comune da rivedere.

Gli anni Ottanta sono quelli di Craxi e del suo Partito socialista, che miracolosamente riuscì a porsi come forza di mutamento. Diciamo miracolosamente perché poco o nulla portava Craxi e il gruppo dirigente socialista, solidamente formatisi nelle ritualità della democrazia dei partiti, a vedere oltre questo orizzonte. Eppure i socialisti furono in grado di muoversi sul piano delle riforme. I bistrattati governi degli anni Ottanta andrebbero riconsiderati perciò in una chiave nuova. Nella comunicazione politica e nella capacità di parlare a nuovi ceti, nulla fu più come prima dopo il passaggio di Craxi. Che infatti fu oggetto di attacchi violentissimi da chi, a cominciare dal Pci e da ampi settori della Dc, il sistema voleva conservare. E non furono attacchi lievi. Pericolo per la democrazia, avventurismo, decisionismo plebiscitario, erano solo gli epiteti più gentili rivolti al presidente del Consiglio.
Eppure gli anni Ottanta finirono come sappiamo. Che cosa fece sì che lo spirito riformatore e innovatore non spirasse sulla politica come, invece, avvenne sulla società?

Molti fattori. La demonizzazione del riformismo (e non solo di quello craxiano) da parte della cultura comunista, che ancora era egemone e anzi lo era più di prima, per esempio nella televisione pubblica. Lo scarso consenso goduto dai socialisti nei settori dell’establishment economico-finanziario, soprattutto dopo l’87. Una fiducia eccessiva nella tenuta del sistema da parte di Craxi, mentre invece i tempi a disposizione per intervenire sul sistema erano ristretti.
Una serie di occasioni perdute che hanno portato il nostro sistema politico a rinnovarsi più lentamente negli anni successivi. Così la transizione italiana è durata troppo a lungo.

Ed è stata scandita da momenti di rottura e da traumi, di cui ancora oggi paghiamo le conseguenze.

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