Quei monaci guerrieri nell’apocalisse di Malta

In «Religion» di Tim Willocks la resistenza di pochi valorosi all’assedio turco del 1565

«Io ne ho viste di cose che voi umani non potreste immaginarvi. Navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione. E ho visto i raggi balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser. E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo, come lacrime nella pioggia. È tempo di morire». Indimenticabili parole, che fioriscono sulle labbra del replicante Roy Batty, ormai prossimo alla morte, nell’incandescente dissolvenza del capolavoro cinematografico di Ridley Scott, Blade Runner.
Parole che devono aver scavato nella mente di Tim Willocks, medico di formazione ma convertitosi alla scrittura per il cinema e le lettere. E così, dopo aver firmato nel 1995 il fortunato thriller Il fine ultimo della creazione, Willocks torna a imbracciare lo stilo e schiera in campo aperto 830 pagine dedicate a uno dei più grandi assedi della storia mondiale: quello patito dai Cavalieri dell’ospedale di S. Giovanni Battista, asserragliati sullo scoglio mediterraneo di Malta, per mano delle armate di Solimano il Magnifico sultano di Istanbul, nell’estate del 1565. Trova così un’ipotesi di risposta la domanda aperta dal replicante Roy, perché le «porte di Tannhäuser» hanno finalmente un volto: è quello del protagonista del nuovo romanzo di Willocks, un mercenario d’altri tempi che scardina i bastioni della vita e della morte per salvare la propria anima.
Mentre la tempesta si avvicina, fra gli ultimi e disperati preparativi da parte dei Cavalieri e le grida dei muezzin che già si odono tra le onde, Mattias Tannhäuser si ritrova precipitato a Malta per scovare il figlio anonimo di una baronessa, strappatole dal seno materno subito dopo il parto. Il piano è semplice: trovare il giovane, ormai quindicenne, e veleggiare subito verso nord, prima che la tenaglia islamica si serri intorno all’isola. Ma le complicazioni sgorgano da ogni scanto: la baronessa che vuole unirsi al mercenario per quell’impresa di riscatto materiale e morale; i Cavalieri che vogliono valersi della sua esperienza militare; gli occhi bicromi e i seni gaudenti di un’altra donna, amica e compagna della baronessa che l’ha strappata a un’infanzia di violenze; e naturalmente l’ombra lunga dell’Inquisizione, che veste i panni di fra’ Ludovico, guarda caso padre del giovane da cercarsi disperatamente.
Insomma il quadro è di quelli a tinte forti, impastato dei colori del rosso e del nero, un kolossal di carta e inchiostro che dipana con mestiere emozioni e riflessioni, brusche accelerazioni e distensioni di nervi. Il titolo, Religion (Cairo Publishing, pagg. 823, euro 22), allude al nome tecnico che i Cavalieri di Malta avevano nel Medioevo - «religione», appunto, che poi non significava altro che «ordine» monastico - ma viene innalzato al rango di bandiera e di senso, mentre confliggono per oltre tre mesi e mezzo i quasi 50mila uomini di Solimano e i circa 6mila agli ordini del Grande Maestro ospedaliere, Jean Parisot de la Valette, cui sarebbe stata poi dedicata l’omonima nuova capitale dell’isola.
L’assedio di Malta, protrattosi dal 18 maggio all’11 settembre 1565 con uno squilibrio di forze esorbitante di quasi 1 a 10, fu precisamente uno di quegli episodi in grado di scatenare l’Apocalisse sulla terra: alla vittoria, incredibile, dei Cavalieri, i musulmani avevano lasciato sul campo circa 30mila uomini, contro i 2.500 dell’Ordine, cui si sommarono però circa 7mila perdite tra la popolazione civile. E Willocks si compiace di ritrarre lo spasimo estremo di uomini e donne in lotta per tutto ciò che può esistere di sacro: terra e famiglia, cultura e civiltà, amore e religione, tutto fuso in un crogiolo di sangue ed evacuazioni, perché «la guerra produce merda ancora più che sangue», perché la battaglia non è altro che un duro lavoro, dove la spada del cavaliere vale quanto il secchio d’acqua portato dal ragazzino, mentre il dio della guerra trascina tutto sull’orlo dell’abisso: «La guerra ci rende tutti infami».
In un simile marasma anche Willocks scivola su qualche pietra, come quando sostiene che i templari vennero eliminati dal papato o parla di ribattesimo cristiano, oppure dipinge l’inquisitore come uno schizofrenico che scatena sul prossimo le punizioni che si attendeva per la propria lussuria. Sono però inciampi compensati da squarci di limpidezza, come quando il fumo e la polvere della battaglia si diradano e ricompare il sole. Così un compagno di Tannhäuser, pur amante della gloria, vede con chiarezza che Malta non è che un momento di uno scontro ben più duraturo: «E se noi non ci battiamo con i musulmani a Malta, un giorno dovremo combatterli a Parigi, perché il loro più grande progetto prevede la conquista del mondo».
Ma soprattutto, se pure Willocks assegna al suo mercenario un ruolo troppo alto nella soluzione militare dell’assedio - sembra di vedere in azione un personaggio dei fumetti, stile il Dago di Wood e Salinas - non spiace veder ripreso il mito medievale e wagneriano del cavaliere-trovatore Tannhäuser che indugia sulla porta del Monte di Venere, diviso tra l’amore per due donne profondamente diverse, sino a che è Dio a scegliere per lui.

Sì, Dio, perché al semi-agnostico eroe, islamizzato a forza da ragazzo e trasformato in giannizzero, quindi transfuga e paladino suo malgrado della causa cristiana, appare infine la Grazia di Dio, quella stessa che tiene per mano la baronessa nella sua ascesi personale da ricca e nobile a umile e amante dell’amore di Cristo, là, in mezzo al sangue che trasuda da tutte le pareti dell’infermeria. Sono lampi di eterno, che sottraggono il racconto di Willocks alla palude del qualunquismo e gli fanno guadagnare un posto nella biblioteca del ben detto, e ben scritto.

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