Florence Compain
Bangkok - In periferia s'organizzano incontri clandestini notturni di pugilato, solo che i pugili sono bambini, talora minori di cinque anni. Sull'improvvisato quadrato, campano e fanno campare le famiglie, vittime della passione nazionale e del traffico d'adulti spietati. Paiono automi lividi, coi guantoni più grossi delle teste: picchiano, incassano, vacillano, ma si riprendono, brandendo i pugni.
In questo magazzino sperduto di Bangkok, i combattimenti si susseguono fino all'alba, al ritmo d'una musica ossessiva, fra effluvi di canfora e mentolo. Uno di loro, Ole - nome d'un dolce locale - ha compiuto otto anni e fatto quaranta incontri. Affronta un bambino in calzoncini rossi dal volto chiuso come il suo. Il guantone lo raggiunge all'occhio, Ole replica con una raffica di ginocchiate. Ganci, calci circolari, fino al gong finale. Intorno gli scommettitori applaudono, maledicono, urlano, decidendo destini infantili.
Ora tocca a Cartoon, nove anni. Sul bordo del quadrato, la madre urla: «Picchia, figliolo, picchia a morte!». «Mi piace quando si batte», mi confida. Non ha paura? Si stupisce: «Ma non si fa male». Dopo una serie di colpi, Diamante nero, antagonista di Cartoon, è suonato. L'arbitro sospende l'incontro, ma l'allenatore contesta: «È ancora in piedi, può battersi», dice del proprio pupillo. Dopo vari conciliaboli e un compenso di cinquecento bat (undici euro) per il vincente, i bambini tornano sul quadrato. «Dai - sbraita l'allenatore di Diamante nero - attacca». Si ricomincia per quindici minuti. Sfiniti, i bambini vacillano.
Gli allibratori esultano. Vince Cartoon. Gli infilano settecento bat (sedici euro) in bocca. Sugli scalini, la moglie dell'organizzatore, madrina per l'occasione, ha aperto il portafogli. Dal 1999, gli incontri di boxe thailandese sono vietati ai minori di quindici anni. Ma la passione è tale che i minipugili s'affrontano nella clandestinità. I mecenati di queste serate nei bassifondi di Bangkok sono sottufficiali di polizia o speculatori. Stanotte è un politico locale che paga, per rendersi popolare. Il circuito professionale clandestino della boxe thailandese è organizzato.
E tifosi, scommettitori e allibratori si ritrovano negli angoli più inverosimili della capitale. La Thailandia pullula di giovanissimi pugili, galletti da combattimento: «I bambini sono innocenti. Hanno il cuore puro, non truccano gli incontri», spiega Yongyudh Thongtap, ex pugile. «Quando boxano, i piccoli divertono più dei grandi», rincara un tizio magro e occhialuto. «Non perdono tempo a studiarsi: pestano e basta». Si frega le mani: «Scommesse forti stasera...».
«Gli incontri possono rendere più di quelli degli adulti». L'allibratore s'è specializzato, vive solo di scommesse sugli incontri di bambini. Nelle tasche, rotoli di banconote da mille bat (ventidue euro). Attorno allo squallido quadrato, il senso d'illegalità è relativo: «Adoro scommettere, è il mio lavoro. Non obbligo nessuno a battersi, non c'è nulla di reprensibile».
Cinque e mezza del mattino. È ancora buio. Quindici bambini corrono in silenzio. Nel piccolo circolo pugilistico di Lamlukka, a nord-est della capitale, percorrono quindici chilometri ogni giorno prima di passare dieci ore su un quadrato delimitato da lamiere ondulate. Nei soggorghi di Bangkok, dove l'obbligo scolare è relativo, ci sono centinaia di queste «palestre». «Difenditi o i cani ti sbraneranno», urla Jek, allenatore di Macaco, quattro anni, che stenta. «È l'asilo della muay thai - ironizza Sombun Kenchai, organizzatore col rubino al dito dei corsi di questi automi delle percosse, che - dice - «ama come figli». Quando non telefona per trovare loro nuovi incontri, li sgrida: «Picchiate forte, non si dorme qui!». Il naso sanguina? «È la natura». Un ematoma sulla guancia? «Non fa male».
Questi ragazzini vivaci e magri inanellano centinaia di flessioni e di esercizi per addominali. «L'allenamento è duro, ma mi piace», dice Top, otto anni, star del circolo, anche se Jek gli ha appena dato duecento pugni in pancia. Intanto Ole ha male alla tibia e una guancia blu; piange, ma insiste. I commenti dell'allenatore non sono teneri: «Stasera è fiacco». Dietro, Macaco salta la corda. Conosce già tutti i colpi pericolosi celati sotto nomi come «il gigante solleva la ragazza», «il re Rama tende l'arco», «il pigolio dell'uccello fuori dal nido».
I piccoli pugili si sentono eredi di Naresuan il Grande, re del Siam dal 1590 al 1605, che respinse l'invasione birmana con quest'arte marziale. Qui la boxe è indissociable dall'identità nazionale: ci sono settantamila pugili professionisti e seimila centri d'allenamento. «Ai bambini la boxe offre un avvenire», dice Yongyudh, ex pugile. Spesso son loro a sfamare le famiglie, che dividono gli incassi con gli organizzatori.
Perciò sognano la gloria sfogliando Muay Siam, rivista di pugilato, e si raccontano i destini di Kaosai Galaxy o di Somluck, due campioni thailandesi. Ma «la loro carriera non supera i ventiquattro anni, col corpo e il cervello rovinati», dicono al Centro di protezione dei diritti dell'infanzia.
In attesa sul karaoke dell'organizzatore, questi bambini tolti ai genitori cantano: «Ho lasciato tutto/L'amore è fuggito dalla mia vita/Grazie di darmi speranza/La speranza di rivederti un giorno».©copyright Le Figaro/Volpe
(Traduzione di Maurizio Cabona)
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