Quei poveri soci dell’Encat «defraudati» di ogni diritto

Vorrei parlare di quello che viene percepito come una specie di esproprio, anche se non proletario, come era modo corrente dire. Lo stile pare lo stesso.
Esproprio ai danni di categorie di appassionati che sono gli allevatori e i proprietari: tutti coloro i quali alla data del 29 ottobre 1999 erano soci dell’Encat (Ente nazionale corse al trotto), in regola con il versamento delle quote dovute. I quali, per effetto della legge n. 449 (dal benemerito primo governo Prodi, a firma dell’azzimato ministro Pinto), si sono ritrovati spogliati di ogni diritto dalla sera alla mattina.
Leggiamo cosa prescriveva la legge 449: «A decorrere dal 1º gennaio 2000 il Jockey club italiano, la società degli Steeple chases d’Italia, l’Ente nazionale corse al trotto e l’Ente nazionale per il cavallo italiano sono incorporati nell’Unire, che subentra nelle relative funzioni, succedendo agli stessi in tutti i diritti ed obblighi e nei rapporti giuridici attivi e passivi».
Dei soci non si fa alcuna menzione, come non fossero mai esistiti, quello che interessa in questo momento sono i beni di questi Enti, se esistenti e quale fine hanno fatto.
Non conosco la situazione degli altri Enti, ma quella dell’Encat molto bene, per averne fatto parte in qualità di consigliere e di socio naturalmente. L’Encat possedeva un ampio appezzamento di terreno (13mila mq), con sovrastanti costruzioni ad uso abitativo e box per cavalli (circa 1.600 mq), a Bologna, all’interno del perimetro dell’Ippodromo Arcoveggio. Il tutto facente capo alla Immobiliare Oberdan Srl, società di diritto privato con quote di proprietà in un primo tempo fiduciariamente intestate a persona fisica e successivamente confluite al patrimonio dell’Encat e da questa trasferito all’Unire, per gli effetti della legge di cui sopra.
Ecco il punto. Se, come dalla legge si evince, l’Unire per incorporazione succede all’Encat «in tutti i diritti ed obblighi e nei rapporti giuridici attivi e passivi», come sono stati regolati i rapporti con i soci? Sono mai stati regolati o quanto meno presi in considerazione?
Ritengo che la fretta sia stata cattiva consigliera e i «legislatori» (si fa per dire), dell’epoca abbiano pensato: ma chi se ne importa di questi rompi, procediamo poi vedremo, ed ora vorrei proprio vedere.
Dallo statuto dell’Encat, non mi risulta alcuna clausola che destini l’eventuale patrimonio di risulta dell’ente in caso di liquidazione, ad alcuna finalità pubblica, come si prevede in questi casi.
I ricordi affiorano e chiamano altri ricordi: il commissario dell’Encat Angelo Masi, fine giurista, che mi onoro di avere conosciuto e lungamente frequentato, sosteneva che, prima di procedere all’incorporazione, sarebbe stato necessario sciogliere questi Enti con modalità appropriate e successivamente trasferire competenze e altro in capo all’Unire. Appunto in considerazione di questa particolarità di Enti pubblici con soci. Interessante in merito la pronuncia sull’argomento del Consiglio di Stato del 26 maggio del 1989.


Inviterei i soci ancora in vita o i loro eredi a costituirsi in una associazione, senza fini di lucro, con la finalità di recuperare quanto a me pare sia stato loro sottratto.
Un proverbio dice: la gattina frettolosa fa i gattini ciechi. Che anche in questo caso sia così?

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