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Quei "Pronomi" per proteggersi dalla banalità

Così Testa si ribella all'appiattimento

Quei "Pronomi" per proteggersi dalla banalità
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Nel recente Pronomi (Einaudi, pagg. X-374, euro 20) Enrico Testa applicava la parresía, l'arte di esprimersi con franchezza. Il frammento è qui indice di libertà, inclusa quella di accavallare citazioni e riflessioni personali. Non c'è un filo conduttore, spiega Testa nell'introduzione. In realtà ci pare di scorgerlo, l'autore spalanca la finestra sul nostro mondo (tu, pronome strano, spesso è un io che ti parla nel cervello per contraddirti) per vedere cosa entra. Voci diverse. In contrasto. Le loro voci. Le vostre voci. Le nostre voci.

La verità, ad esempio. Il carattere "crudo e oggettivo" del mondo è in discussione: "Lo dimostra l'assuefazione a ogni orrore, decapitazioni, fosse comuni, violazioni dei più elementari diritti sono dimenticati nel giro di pochi minuti, tritati nella macchina dell'informazione che infligge loro una nuova, supplementare tortura". Così, di fronte ai fatti più ignobili, si è sempre spinti a pensare che le cose "potrebbero essere andate in modo diverso, e c'è sempre qualcuno pronto a dire, alzando l'indice saccente, la questione è più complessa". In questo gioco, spesso perde l'Occidente, considerato causa di ogni male e di ogni complessità assassina o discriminatoria o colonialista. La sindrome antioccidentale, malattia degli intellettuali, si esprime spesso con "toni messianici, che, cadenzati in una prosa ricca di figure (metafore e similitudini) sono al contempo apocalittici e gioiosi: Per noi la morte dell'Occidente è la felice utopia, qualcosa come la gleba smossa e il deserto di sabbia (Giorgio Agamben)".

Enrico Testa è uno storico della lingua e un poeta. Grande è la sua attenzione per le parole. Aveva ragione Giovanni Papini nella Storia di Cristo? Viviamo in una "coprocrazia" che "ha sottomesso l'alto al basso, lo spirito al fango"? Gli adulti non si limitano a imitare i giovani, li superano nella richiesta di spazzatura: cibo spazzatura, cultura spazzatura, musica spazzatura, frammenti di televisione spazzatura. Roba da consumare in pochi secondi, in modo compulsivo, mentre si aspetta la metropolitana che sposta i poveri da un punto all'altro della città. Secondo Testa, la parola più odiosa in assoluto è smart: "abusata, spocchiosa e nient'affatto umile". Tra l'altro, e sarà una scoperta per molti, non è neppure nuova come verrebbe da pensare. Si trova già nel Dizionario moderno (1905) di Alfredo Panzini con questa definizione: "Arguto, lepido, originale".

Oggi è tutto smart, al bar servono lo smart drink (cioè il frullato con vitamine). Essere smart significa essere reattivi, veloci, multitasking (argh). Tutto ciò che è contrario all'arte del dubbio, del pensiero critico, della messa in discussione del conformismo. Dell'intelligenza, insomma.

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