Quei riformisti troppo deboli schiacciati dall’ala estrema


Nella lotta per l’egemonia sul governo e sulla maggioranza scatenata dalla sinistra estrema, e che ha avuto l’episodio più significativo nella manifestazione di Roma di qualche giorno, fa ha fatto irruzione la violenza, ed è cosa da non sottovalutare. Il grave episodio di Padova, con l’aggressione fisica al padre di un caduto di Nassirya non può essere sottovalutato. Il ministro del Lavoro Damiano ha evocato il clima degli anni ’70 quando la violenza degli «autonomi» anticipò gli anni di piombo. Il ministro aveva del resto fatto due giorni prima l’esperienza della aggressione squadristica subita nel corso di un convegno a Venezia avvenuta sotto gli occhi del sindaco della città. La stessa violenza, al solito ipocritamente condannata dai partiti dell’Unione, è risuonata negli slogan e negli striscioni del corteo di Roma, nei quali il ministro era stato l’obiettivo dei partecipanti indicato come «servo dei padroni».
La «Marcia Contro Ignoti» dei giorni scorsi a Roma non può essere archiviata senza qualche riflessione meno occasionale ed episodica. In essa è convenuto tutto intero lo schieramento della sinistra estrema, quello interno al governo, i due partiti comunisti, i Verdi, un pezzo di «Correntone», segretari dei partiti e sottosegretari compresi. Ma è convenuto anche un pezzo significativo della sinistra sindacale, Fiom, sindacati di base, Cobas, organizzazioni quali l’Arci, sigle cattoliche assenti dalla scena dai tempi delle marce pacifiste a senso unico, e quella fungaia di presenze extra-parlamentari, centri sociali, no-global. La presenza di ministri del governo ha suscitato ironie inevitabili, ma anche piuttosto facili. Qualche critica in più ha sollevato l’aperto incoraggiamento venuto da Bertinotti, che ha finalmente chiarito certe sue affermazioni sulla conquista dello scranno più alto di Montecitorio come garanzia di un ingresso del «movimento» nelle istituzioni.
Il governo, questo era meno prevedibile, si è affrettato a prendere atto con favore della novità. Il sempre più sorprendente Padoa-Schioppa si è detto rallegrato della manifestazione, Romano Prodi e lo stesso ministro Damiano hanno assicurato che contro la legge Biagi qualcosa è stato fatto, e molto ancora si farà. E Prodi, in particolare, si è affrettato. sotto la minaccia di uno sciopero generale nel pubblico impiego a raggiungere un accordo con Cgil-Cisl-Uil per lo stanziamento nella legge finanziaria dei fondi per il rinnovo del contratto di lavoro. Tutto quello che è successo è il segno di uno scivolamento a sinistra dell’Unione e del governo. In effetti, se è vero che l’offensiva della estrema sinistra ha bisogno della presenza di Prodi a Palazzo Chigi per raggiungere i suoi obiettivi, è altrettanto vero il contrario. Anche se sul momento la pressione dell’estrema può creare qualche imbarazzo, il premier non può che giovarsi del rafforzamento di coloro che ha eletto a suoi interlocutori principali.
Di quel che succede, si sono accorti tutti coloro che vogliono vedere. I soli a fingere di non capire sono gli ineffabili «riformisti», i partiti di Rutelli e di Fassino i quali subiscono senza reagire un processo che non può essere arrestato senza proporsi seriamente il problema della natura e del ruolo dell’attuale governo. In fondo, i post-comunisti restano fedeli al principio leninista del «nessun nemico a sinistra» che li tiene avvinti. A una sinistra che sta guadagnando posizioni nel governo e nella maggioranza. È una strategia pericolosa, per loro e per il Paese.
a.

gismondi@tin.it

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