Si chiama il Treno del cielo ma non porta esattamente in Paradiso. Quattromiladuecento chilometri di binari che non collegano mondi, non aprono frontiere, non uniscono popoli. Ma conquistano terre, impongono la legge del più forte. Per costruire il suo moderno cavallo di Troia il regime comunista cinese ha pagato 3,3 miliardi di euro, il doppio di quanto speso per sanità e istruzione negli ultimi cinquant'anni. Per collegare Pechino al Tibet orgoglioso e ribelle, il governo ha sfidato l'impossibile: ha costruito 675 ponti, quasi tutti a un'altitudine che supera i 4mila metri, a 45 sotto zero, su territori perennemente congelati o in zone altamente sismiche, su passi come quello del Tangula, il punto più alto mai toccato da un treno, duecento metri più su del Monte Bianco, per questo si viaggia solo con le maschere d'ossigeno, per questo per salire a bordo ti chiedono il certificato medico. Un mostro ultra sofisticato, capace di tutto, una specie di Grande Muraglia in movimento. Ci vogliono 47 ore per raggiungere Lhasa da Pechino e i tibetani sanno a cosa serve: dopo l'occupazione militare arriverà quella etnica, la Cina sta già incoraggiando la migrazione interna, è il Tibet la Nuova frontiera, è lì che dovete andare. Con la scusa del progresso, con l'alibi della globalizzazione. Nessun treno aveva mai collegato i due mondi, ma le informazioni sul treno te le danno in due lingue cinese e inglese. Tibetano no. Tanto per capirci...
Ci sono treni che conquistano e treni che ti conquistano. Perché vanno dove nessuno vuole andare, perché fanno ciò che altri dovrebbero fare. Phelophepa Train è una speranza che viaggia sulle rotaie, un ospedale che attraversa il Sudafrica, il migliore del Paese, per curare i poveri e i diseredati, cioè più o meno la metà dei 43 milioni di sudafricani. Per nove mesi l'anno raggiunge gli irraggiungibili, unisce un Paese diviso ancora da tanti apartheid, visita townships, baraccopoli, ghetti, bianchi e neri si mettono in coda assieme. Sei ambulatori dentistici, sei di oculistica, poi la farmacia, l'unità di psicologia, sedici medici e una trentina di studenti universitari sempre a disposizione. Phelophepa Train medica un Paese massacrato dalle morti per Aids, ma anche tormentato da polmoniti e tubercolosi, cura le ferite dell'anima, perché sono la povertà, la solitudine, l'abbandono ad ammalare gli esseri umani di disperazione.
Mezzo milione di visite l'anno, 5 rand, 62 centesimi, a visita ma spesso si fa lo stesso gratis perché moltinemmeno li hanno 62 centesimi. Grazie a questo piccolo Esercito della salvezza c'è chi ha visto un medico per la primavolta nella vita e chi ha visto e basta: uomini e donne senza più sguardo hanno ritrovato la luce in un paio di occhiali, mamme presbiti all'ultimo stadio hanno potuto guardare negli occhi il proprio bambino per la prima volta. Sui treni viaggia anche l'anima di un popolo, il suo modo di essere, di vivere. Quando qualche anno fa il treno superveloce giapponese Shinkansen accumulò la bellezza di 12 secondi di ritardo in 365 giorni, vergogna nazionale in un Paese ammalato di puntualità, i giapponesi si scusarono con il mondo e cominciarono a far saltare teste tra i dirigenti delle ferrovie come Uma Thurman in Kill Bill. Per i francesi il V150, 574 kmh, che viaggia veloce come un jet, più che per vincere la guerra dei Trent'anni che la Francia sta combattendo per far viaggiare la propria economia, è stata l'occasione per dimostrare al mondo l'excellence française, per dire a tutti, come al solito, i migliori siamo noi.
Dalla cupa Urss di Breznev si fuggiva per una notte solo con il Krasnaja Strelija, la Freccia Rossa, che partiva a mezzanotte da Mosca per arrivare all'alba a Leningrado, tuffandosi nel buio della campagna russa, nelle due cuccette dove si rifugiavano le coppiette si viveva e si amava quando c'era poco di che essere felici, quando quel mondo finì il treno dell'amore diventò la preda preferita dei banditi, ma era il mondo ormai a essere cambiato. Poi c'è il treno di Lawrence, un nastro metallico di 1.300 chilometri che ha più di cent'anni e unisce in sette ore Amman e Damasco. L'hanno costruito i turchi, ma gli arabi, che cercavano indipendenza e riscatto, ci vedevano solo un simbolo di oppressione, per questo fu ferito da decine di attentati e poi chiuso. Furono Hussein e Assad a riaprire la strada, volevano un treno del passato capace di avvicinare i popoli del futuro, ma la pace non c'è, la stabilità chissà se ci sarà mai, la vecchia ferrovia va ma senza collegamenti per Teheran, Bagdad, Istanbul. Di lì non si passa, chissà per quanto tempo ancora.
E poi c'è un treno strano, un treno assassino che si muove tra il Rio Madeira e il Mamorè, come un serial killer. Ha appena passato i 100 anni, la chiamano Mad Maria, la Ferrovia del diavolo, collega il «nulla a nessun luogo». Vive nella foresta amazzonica, i suoi 366 chilometri dovevano servire per portare sulla costa atlantica il caucciù prodotto da Bolivia e Brasile, era la più audace opera di ingegneria ferroviaria di tutti i tempi. L'economia andò più veloce, quando fu inaugurata non serviva più.
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