Buio totale, un nero che avvolge palcoscenico e platea per raccontare L'ultima notte di Raul Gardini. Un buio che vuole portare dentro l'animo di chi non vede più luce intorno a sé e che soprattutto non ha più speranza di salvezza e riscatto. Andrea Liberovici ha visto così l'ultima ora di quell'uomo di potere che proprio da questo potere è stato schiacciato. Unico compagno, in una solitudine alienante, un televisore che riprende la memoria dei trascorsi gloriosi di quest'eroe tragico che non vuole più contatto con l'esterno. Luciano Roman che interpreta Gardini volge le spalle al pubblico a scena aperta, seduto sul televisore ancor prima che lo spettacolo abbia inizio, poi si gira e per cinque minuti buoni è in piedi fermo, con lo sguardo fisso dinanzi a sé per creare il pathos necessario per trascinare tutti dentro la sua sofferenza. Un singhiozzo rompe il silenzio mentre un solo piccolo faretto illumina il volto solcato dalla tragedia incombente, un luce timida che non crescerà per tutto lo spettacolo. Le immagini fornite dall'archivio RAI scorrono sul vecchio televisore e si alternano alle parole dell'attore riproponendo i momenti gloriosi della scalata del protagonista, nonché quelli spensierati a bordo del Moro di Venezia. E lui è lì in piedi a guardare lo scorrere della sua vita come le pagine di un libro mosse velocemente dal vento, pieno di rimpianto e malinconia del passato. La sua Ombra gli sta accanto e lo marca stretto, è come una coscienza dalla quale non puoi scappare, che vorresti non ascoltare ma non puoi.
Quest'ombra ha la voce di Mario Menini, forte persuasiva, intrigante, qualche volta un po' troppo moralista, e che non lascia scampo. Senz'altro il pezzo forte dello spettacolo che a fatica cerca di tradurre un testo, quello di Augias e Polchi, che vuol essere teatro civile, ma che nella sua tecnica di narrazione, non lo è. Un'analisi che si ferma più sulla psicologia dell'individuo che sulla realtà dei fatti. Ma anche in questo sorge qualche perplessità.
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