Quel Profumo perduto tra le mani di una squillo

Era l’astro dei Tories, gli fu fatale dividere una donna con una spia del Kgb

Massimo M. Veronese

Aveva un faccino perbene, di quelli di cui non bisogna fidarsi mai e l’aria da adolescente difficile, il broncio perenne sulle labbra, intrigante e permalosa. Si guardarono un attimo e lui fu perduto per sempre. Fingendosi stupita da quello sguardo che la divorava, abbandonò in punta di piedi il bordo della piscina per mettersi addosso un asciugamano. Era una sera afosa, di quelle che scaldano il sangue, luglio 1961. Era l’inizio della fine.
Christine Keeler aveva gambe lunghe e fretta di arrivare. A quindici anni viveva su un vagone ferroviario parcheggiato in un campo vicino il Tamigi. Non aveva scrupoli ma una bellezza da togliere il fiato, da vendere a caro prezzo. Il primo impiego è al Murray cabaret club, il suo lavoro, raccontava, è «andare in giro senza vestiti addosso». Poi call girl. Una squillo. A sedici anni la piccola Christine, come scrisse il severo lord Dennings, incaricato di redigere il rapporto ufficiale del caso Profumo «aveva due occhi fatali per ogni uomo e viveva già nel peccato». Di certo innocente non era. Calcolatrice, ambiziosa, spregiudicata. Ma non innocente.
Il suo biglietto d’invito per la Londra bene è un osteopata di grido, Stephen Ward. È il medico di Liz Taylor e Winston Churchill, quasi sempre al verde, senza nemmeno un conto in banca, ritrattista a tempo perso. La sua specialità è organizzare orge, preferibilmente sadomaso, il suo appartamentino è un viavai continuo di ragazzine sempre un po’ su di giri. Le insegna a fumare marijuana, le divide con gli amici, tutti pezzi grossi della Londra che comanda, le frusta, come piace a loro. Si dichiara «simpatizzante comunista», ma c’è chi dice fosse ricattato dai servizi segreti sovietici che nei salottini rosa shocking della sua casa di Wimpole Mews nascondevano dietro finti specchi cineprese, macchine fotografiche, microfoni per catturare, tra i sospiri, i segreti di chi conta.
C’è anche il dottor Ward al ricevimento del Visconte di Astor, quella sera di luglio davanti alla piscina della sua tenuta del Berkshire, c’è Christine, senza accappatoio, vicino alla siepe di rose, ma c’è soprattutto lui, John Profumo, il ministro della Guerra nel governo di MacMillan, quarantaseienne astro nascente dei conservatori, brillante, affascinante, ricco e sposato con una star del cinema, Valerie Hobson. Il padre, un barone ligure di origini ebree, lo ha educato secondo i canoni dell'aristocrazia inglese, è cresciuto ad Oxford, a 25 anni era già deputato. Ha tutto, ma da quella sera vuole solo lei.
Tre giorni dopo Christine è da lui, ma è lui ad essere suo. Non immagina però di dividerne i favori con l’addetto navale dell’ambasciata sovietica, il capitano Eugenij Ivanov, spione del Kgb, amante di liquori, sigari, belle donne e partite di poker. Per questo il controspionaggio allerta subito Profumo: lascia perdere la ragazzina, ne va dello sicurezza dello Stato. Sono strazianti lettere dì addio e poi improvvisi ripensamenti, finisce, dopo pochi mesi di fuoco sotto la pelle. Troppi.
L’anno dopo, un giorno qualsiasi. Christine, dopo una violenta lite col suo amante giamaicano, si rifugia dall’amica Mandy Rice-Davies, biondina specializzata in frustate. L’uomo spara sette colpi di pistola contro la casa, arriva la polizia, la cronaca mette gli occhi addosso a quella squillo ragazzina dall’aria perbene e la fama per male. Bastano mille sterline a convincerla a rivelare in esclusiva al Sunday Pictorial, di come un dottore di grido l’abbia spinta soltanto l’anno prima tra le braccia del ministro della Guerra per aver informazioni riservate sul dislocamento delle testate atomiche in Germania da trasmettere a un capitano del Kgb...
È la fine. Profumo ammette di conoscerla, ma giura ai Comuni che «niente di scorretto nelle nostre relazioni» è mai avvenuto. Ma lei insiste. Dice di essersi recata a casa sua una notte, dice che la moglie non c’era. Descrive le stanze, i mobili, persino il telefono col dispositivo antiascolto. Non dimentica nulla. Lo scandalo diventa politico, l’opposizione laburista chiede la testa di Profumo e del premier, sui tabloid gli inglesi divorano storie di spie, bordelli di lusso, festini in ville aristocratiche, la foto di Christine, nuda seduta a cavalcioni di una sedia, lo sguardo dentro l’obiettivo, diventa un manifesto sesso, droga e rock’n’roll della Londra anni Sessanta. Le ragazzine si vestono e si truccano come lei. Messo alle strette Profumo confessa, si dimette da ogni carica, ammette il suo «profondo rimorso» ma nega d’aver mai rivelato segreti di Stato. Il giorno dopo la Borsa di Londra precipita, l’anno dopo cade anche il governo. Il processo è un romanzo d’appendice che non finisce più, il pubblico impazzisce, i giornali vendono, la gente compra. Ma finisce male per tutti. Stephen Ward, accusato di favoreggiamento alla prostituzione, si uccide con i barbiturici senza aspettare la sentenza, Christine condannata per falsa testimonianza, finisce a fare la lavandaia nel penitenziario di Halloway e poi in miseria abbandonata da tutti. La villa con piscina è ora un albergo di proprietà di Bill Gates.
John Profumo è morto ieri all’età di 91 anni.

Si dedicava all’assistenza di drogati e carcerati. La moglie lo ha perdonato, la regina riabilitato da anni. Lo ha ucciso un attacco di cuore. Cominciato quarantacinque anni fa, sul bordo di una piscina, vicino alla siepe di rose.

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