I magistrati imboccano la linea dura contro l'annunciata riforma della giustizia, annunciano scioperi e quant'altro. È una minaccia che sa di ricatto alla classe politica, un ricatto orribile perché messo in atto a mano armata. Se un insegnante si oppone alla riforma della scuola, può andare in piazza o salire sui tetti. Un magistrato invece può sventolare avvisi di garanzia e far sentire il tintinnare di manette. Può distruggere uomini (alcuni in passato sono fisicamente morti per accanimento giudiziario), può stroncare carriere, rovinare famiglie, azzoppare aziende, cambiare il corso della politica con assoluta discrezionalità e impunità anche di fronte a casi clamorosi di abuso di potere ed errori come abbiamo documentato nell'inchiesta pubblicata nei giorni scorsi. E tutto sorretto da una stampa complice di una delle battaglie più illiberali e pericolose nella storia della Repubblica.
Andate a rileggere che cosa scrisse dei magistrati Repubblica quando indagarono e arrestarono per tangenti il suo editore De Benedetti, che cosa disse Fini quando venne intercettata la sua prima moglie Daniela, cosa confidò D'Alema all'epoca dell'inchiesta su di lui per la scalata Unipol. Le dichiarazioni di Berlusconi, a confronto, sembrano quelle di un moderato. Poi il vento è cambiato.
Improvvisamente, per questi signori, la magistratura è diventata un totem, sacro, intoccabile. Come per miracolo le inchieste si sono allontanate dal loro cerchio magico, per coincidenza Fini e D'Alema si sono messi di traverso a qualsiasi progetto di riformare la casta delle toghe. Ed è iniziata una manovra a tenaglia contro Berlusconi e i suoi uomini.
I pasdaran che guidano la rivolta dei magistrati non sono più servitori dello Stato, vogliono costituire uno Stato nello Stato, quello di polizia che non riconosce il potere legislativo e si autoproclama indipendente.
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