Quell’«Agenda rossa» che è diventata il Graal della sinistra

Caro dottor Granzotto, prima di tutto mi preme congratularmi per il suo aplomb nel liquidare il compagno Massimi (figuriamoci i minimi!). Tornando alle cose serie, vorrei da lei qualche spiegazione sulla famigerata «Agenda Rossa» di Borsellino che tutti i nemici della Mafia e per default di Berlusconi idolatrano come il Sacro Graal dei paladini della democrazia: cos’è, cosa contiene e, soprattutto, se esiste davvero o è, come il mostro di Loch Ness, una balla colossale tenuta in piedi per garantire certi interessi. Tra l’altro, la definizione m’inquieta abbastanza, visto che ricorda tanto il «libretto rosso» di Mao, uno che con la mafia era tutt’uno. Solo che si chiamava comunismo. Tanti saluti ma senza «X».
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A quel che si sa o a quel che si dice, caro Urselli, nei mesi che precedettero la sua morte Paolo Borsellino prese l’abitudine di annotare, su una agenda dalla copertina rossa, il contenuto dei suoi colloqui e interrogatori investigativi seguiti da riflessioni e commenti. Sempre a quel che si dice Borsellino non si separava mai dall’agenda che dunque assai presumibilmente prese con sé quando, il 19 luglio del 1992, si recò in via D’Amelio per far visita alla madre. Però nella cartella di cuoio, trovata intatta dopo l’esplosione che costò la vita al magistrato e ai suoi cinque agenti di scorta, l’agenda non fu ritrovata. Poiché si dà per scontato che ci fosse - anche se, ovviamente, nessuno vide Borsellino riporla nella cartella - si pensò dapprima e si diede per assodato poi che qualcuno l’avesse sottratta prima dell’esplosione o nel corso dei primissimi accertamenti sul luogo. Anche se sul contenuto dell’agenda si possono fare solo delle supposizioni - nessuno può dire, né i familiari né i più stretti collaboratori di Borsellino, d’avervi gettato fosse solo una occhiata fugace - in breve essa diventò «la scatola nera della Seconda repubblica», per dirla con Marco Travaglio. Conterrebbe cioè la ricostruzione, suffragata da una serie di indizi, di prove e di confessioni, della scalata al potere di Silvio Berlusconi, resa possibile da uno patto criminale con la mafia cui seguì la stagione delle stragi delle quali, va da sé, il Cavaliere ne era il mandante.
Non è finita: la sparizione dell’agenda rossa è ritenuta dai professionisti dell’antimafia e dai travaglianti non solo un ostacolo alla ricerca della verità (cioè del diretto coinvolgimento di Berlusconi nelle stragi di Capaci e di via D’Amelio), ma anche una micidiale arma di ricatto in mano di colui o coloro che la detengono. E i ricattati o ricattabili sarebbero i politici che sull’agenda Borsellino avrebbe indicato, con nome e cognome, essere scesi a patti con la mafia. E siccome l’indiziato numero uno è Berlusconi, sempre lui, egli sarebbe dunque sotto estorsione, strumento nelle mani di una Spectre, di una P3 al cubo, che se lo gioca come meglio crede. Questo è quanto, caro Urselli: l’unica cosa appurata è che apparteneva a Borsellino un taccuino con la copertina rossa. Che fine abbia fatto e, soprattutto, cosa contenesse sono solo illazioni, congetture. Servite però come evidentissime certezze.

Per cui si potrebbe dire che quell’agenda non è la «scatola nera» della Seconda repubblica quanto piuttosto la pietra filosofale della sinistra che, se trovata, trasformerebbe il piombo berlusconiano nel rifulgente oro «sinceramente democratico».

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