Quell’attrazione fatale delle donne per la tonaca

Il fascino dell’abito talare sta nel suo assomigliare a un’uniforme. Proibita. Così almeno la pensava Stendhal quando ne Il rosso e il nero racconta la storia di Julien Sorel, il giovane povero e ambizioso che, non avendo potuto vivere la gloria militare di Napoleone, cerca nella veste da prete offertagli dalla Restaurazione di che mascherare la propria volontà di potenza. Ipocrita, arrivista, seduttore, finirà ghigliottinato e la sua amante, nella carrozza parata a lutto verso il cimitero, porterà sulle ginocchia la testa dell’uomo così tanto amato.
Al Settecento dei Lumi, che con Diderot aveva popolato la letteratura romanzesca di monache lussuriose e di frati in calore, l’Ottocento delle passioni oppone dunque l’eroe romantico, condannato dal proprio tempo al travestimento nell’illusione di far coincidere i sogni e la realtà. Ancora un secolo e il Novecento della morte di Dio chiuderà il cerchio con Il prete bello di Goffredo Parise, tramutando la tragedia in farsa: nessuno si illude più e ci si inganna tutti senza grandezza e senza sofferenza.

Siamo tanto abituati a una chiesa secolarizzata, dove le vocazioni latitano e i preti vestono in borghese, che nell’ultimo film di Verdone, Io, loro e Lara, l’idea del protagonista Don Carlo tampinato da una psicologa ci aveva fatto sorridere; non per il fatto in sé, ma per la reazione di lui: «E no, il bacio in bocca no»... Intelligentemente, Verdone aveva capito che il celibato è per certi versi l’ultimo argine e l’ultimo tabù e la cronaca, nel raccontarci ora questa storia singolare di un religioso del Ferrarese asfissiato a tal punto dalla corte di una giornalista milanese da rivolgersi alla magistratura, ce lo conferma. Boccaccio è ancora vivo e prega assieme a noi.

Negli anni Sessanta e Settanta, quelli della commedia all’italiana, dei film di Pierino e delle soldatesse alle grandi manovre, l’erotismo applicato alla religione non aveva dato grandi risultati. Andando a memoria, e senza alcuna pretesa critica e/o esaustiva, un po’ di porno-soft, dove c’erano più infermiere vestite da suore, che suore nelle vesti di infermiere, qualche prova d’autore, De Sica, Risi, dove la presenza statuaria di Sofia Loren garantiva di per sé un’improbabilità come religiosa (Bianco, rosso e...), una impossibilità quanto a trasgressione portata sino in fondo. Eppure, in Ieri, oggi e domani, quando, da prostituta, faceva involontariamente girare la testa a un giovane seminarista, c’era una delicatezza commovente nel confronto-scontro-riconciliazione con i poveri nonni dell’aspirante religioso, simboli di una Roma papalina, bigotta e dignitosa, allora - il film è del 1963 - ancora esistente. Erano quei film la variante italiana di un filone anglosassone dove di solito c’erano religiose calate in climi e situazioni ostili (Deborah Kerr, Audrey Hepburn), rudi uomini che le proteggevano e nel proteggerle se ne innamoravano (William Holden, Robert Mitchum) e ci pensava sempre la malaria, il tifo, il «maledetto giapponese» a impedire che il peccato venisse commesso. L’anima e la carne, per riprendere il titolo di quello più famoso, potevano insomma convivere. Di certo, al cinema più che in letteratura: nei romanzi dell’inglese e cattolico Graham Greene c’è sempre un prete che ha perduto la fede, cede al sesso e all’alcol, è infelice, si redime soltanto facendosi ammazzare con la tonaca indosso.

Uccelli di rovo fu invece un prodotto televisivo: il padre Ralph della storia faceva girare la testa a molte telespettatrici: quando più tardi si venne a sapere che era interpretato da un attore omosessuale ci si rese conto del perché piacesse così tanto anche a un certo pubblico maschile. Va detto che il titolo si prestava all’equivoco. Come esempio di moderna telegenia si potrebbe parlare di padre George, l’atletico segretario del Papa, ma non vorrei generare altri equivoci, e mi limito perciò alla pura citazione.

Il più bel romanzo sul fascino della tonaca l’ha scritto comunque un francese, Lucien Rebatet. Negli anni fra le due guerre era stato uno scatenato antisemita e un collaborazionista ultras e per questo lo avevano condannato a morte. In carcere scrisse un romanzo dal titolo Les Deux Étendards, la storia di Anne-Marie innamorata di Regis, seminarista e poi gesuita, e amata e quindi a questi contesa da Michel, wagneriano alla ricerca dell’assoluto.

Era il racconto di un’avventura spirituale, uno scontro di fedi e di caratteri, il prestigio dell’amore puro e la tentazione dell’amor profano, il trionfo della fede ma anche dell’infelicità. In Italia non è mai stato tradotto ed è un peccato. Veniale. Carnale.

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